Per la Cassazione non va inabilitato il genitore anziano che compie atti di prodigalità per affetto stante la disgregazione della famiglia d'origine

di Lucia Izzo - Non va dichiarato inabile per prodigalità l'anziano genitore che sceglie di compiere generosi atti di liberalità nei confronti di amici fedeli invece di lasciare il patrimonio ai familiari assenti da anni nella sua vita.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 786/2017 (qui sotto allegata) nel rigettare il ricorso delle figlie di un uomo che avevano chiesto gli fosse affiancato un curatore, allarmate dagli atti di estrema liberalità compiuti dal genitore nei confronti di amici.


La Corte d'Appello, contro la sentenza del Tribunale che, in adesione alla domanda delle signore, aveva dichiarato l'inabilitazione per prodigalità (ex art. 415, secondo comma c.c.) aveva in secondo grado revocato la nomina del curatore provvisorio. Andava esclusa, secondo la Corte territoriale, la malattia psichica e il deterioramento cognitivo dell'uomo o un disturbo psichiatrico, nonché anche la prodigalità.


Le rilevanti dismissioni immobiliari e gli investimenti criticati dalle ricorrenti, infatti, non esprimevano la richiesta tendenza allo sperpero "per incapacità di appezzare il valore del denaro" o per "frivolezza, vanità od ostentazione".


Le figlie, inoltre, si erano allontanate del padre senza più cercarlo o prendersi cura di lui da circa vent'anni, quindi le loro critiche avrebbero mirato solo a finalità conservative di un patrimonio che, invece, il suo titolare sarebbe stato libero di investire per gratitudine, affetto e riconoscenza verso chi gli è e gli è stato vicino.


Una decisione che viene confermata anche in Cassazione, rammentando l'autorevole e risalente giurisprudenza secondo la quale la prodigalità, configura autonoma causa di inabilitazione  ai sensi del codice civile, anche quando non derivi da una malattia o infermità, ma si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, ma tutto ciò purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprezzo di coloro che lavorano, dispetto verso vincoli di solidarietà familiare).


Ne discende che il suddetto comportamento non può costituire ragione di inabilitazione del suo autore quanto risponda a finalità aventi un proprio intrinseco valore, ad esempio aiuto economico verso persona estranea al nucleo familiare, ma legata da affetto ed attrazione.


Nel caso di specie la Corte territoriale ha chiarito che, per quanto l'uomo abbia posto in essere atti economicamente non vantaggiosi, lo avrebbe fatto sempre con lucidità e misura, senza eccedere per vanità, lusso o sproporzione rispetto a quanto consentitogli, per riconoscenza e per beneficiare persone a lui care.


La redistribuzione della ricchezza a persone a lui vicine (ad esempio una coppia di amici e l'unico figlio rimastogli accanto), pertanto, è stata una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia


Per i giudici di merito, l'accertato stato di fragilità psicologica, causato dalla disintegrazione della famiglia, avrebbe visto l'uomo reagire con lucidità, cercando, trovando e valorizzando altri rapporti affettivi. Inoltre, sarebbero mancanti nel caso anche i presupposti (infermità o menomazione psico fisica impeditiva della capacità di provvedere ai propri interessi) per l'apertura di un'amministrazione di sostegno.


Cass., I sez. civ., sent. n. 786/2017

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