Il ricorso di Fastweb fallisce. L'utilizzo illegittimo degli elenchi pubblici giustifica il pagamento di 300mila euro

di Valeria Zeppilli - Quasi tutti gli italiani ricevono quotidianamente chiamate indesiderate di operatori telefonici che propongono le loro tariffe. Questo comportamento, però, non sempre è lecito e, probabilmente, presto si ridimensionerà.

Il recente caso che ha visto coinvolto un grande gestore telefonico (Fastweb), infatti, ad alcuni servirà da monito per bloccare il telemarketing "selvaggio" e rispettare la privacy dei cittadini. 

Ci si riferisce alla vicenda chiusa dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 17143/2016 depositata ieri e qui sotto allegata: la maxi sanzione amministrativa di 300 mila euro inflitta al predetto gestore dal Garante per la protezione dei dati personali e già confermata dal Tribunale di Milano resta. 

La "colpa" della società di telefonia è stata di aver utilizzato oltre 14 milioni di nominativi contenuti in elenchi telefonici pubblici formati prima dell'agosto 2005 e con riferimento ai quali il Garante aveva disposto un divieto di trattamento, del quale il gestore era consapevole.

Peraltro quest'ultimo non aveva provato di aver ottenuto il consenso degli interessati al trattamento e aveva ignorato il primo provvedimento inibitorio. La banca dati alla quale aveva attinto, inoltre, era di particolare rilevanza e dimensioni, il che ha fatto assumere al comportamento sanzionato una rilevanza qualitativa che prescinde dall'entità numerica dei dati raccolti e trattati.

Dinanzi a tale scenario, i tentativi della società sanzionata di contestare, tra le altre cose, un'interpretazione restrittiva del diritto comunitario, l'eccessiva lunghezza del procedimento sanzionatorio e il fatto che sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem per il cumulo delle sanzioni sono falliti tutti.

In relazione alla normativa comunitaria, la Corte ha sottolineato che l'Italia è rimasta pienamente coerente con la facoltà lasciata dalla direttiva 2002/58/CE di chiedere un consento ulteriore degli abbonati per gli scopi perseguibili tramite un elenco pubblico diversi dalla ricerca di dati di persone tramite il loro nome.

Con riferimento ai termini di decadenza individuati per le sanzioni amministrative in 90 giorni, i giudici hanno invece precisato che essi vanno valutati in maniera elastica dal giudice del merito quando l'accertamento ha ad oggetto violazioni complesse.

Venendo infine a quanto previsto dall'articolo 164-bis, comma 2, del codice della privacy in relazione alle banche dati di particolare rilevanza e dimensioni, i giudici hanno chiarito che tale norma rappresenta una figura di illecito del tutto autonoma e non una semplice ipotesi aggravata rispetto a quelle previste nello stesso articolo.

Quanto visto non è che una minima parte di una lunga e articolata argomentazione con la quale la Cassazione è giunta, però, a una risposta chiara e univoca: quanto già sancito dal Tribunale di Milano va confermato e il ricorso dell'operatore telefonico è complessivamente infondato.

Corte di cassazione testo sentenza numero 17143/2016
Valeria Zeppilli

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