Compossesso dei beni ereditari ed azioni possessorie esercitate dal chiamato


Avv. Marcella Ferrari - In caso di successione ereditaria, il chiamato all'eredità, non in possesso dei beni ereditari, cui sia impedito di accedervi dagli altri chiamati ha titolo per esperire l'azione di reintegrazione?
Per incoare l'azione di spoglio, secondo la lettera dell'art. 1168 c.c., è necessario il possesso o quantomeno la detenzione del bene. Pertanto il chiamato all'eredità, che non ha ancora accettato e che non è nel possesso dei beni, in linea di principio, non potrebbe azionare alcuna pretesa possessoria.

Nondimeno, in campo successorio, viene in rilievo, l'istituto della cosiddetta "saisine ereditaria". Si tratta della disposizione normativa contenuta nell'art. 460 c.c. La norma citata attribuisce al chiamato all'eredità la legittimazione attiva nell'esperimento delle azioni possessorie ancorché non vi sia stata materiale apprensione del bene. Nell'ipotesi in commento, il soggetto non è ancora erede ma è semplicemente un chiamato; l'eredità, infatti, sino alla formale adizione della stessa, è vacante. In questo torno di tempo, la legge assicura al vocato dei poteri conservativi, tra i quali spiccano le azioni possessorie. Mentre l'art. 1146 c. 1 c.c. prevede la successione nel possesso in capo agli eredi, disponendo che lo stesso continui con i successori, l'art. 460 c.c. dispone, invece, che "le mort saisit le vif ", vale a dire che il morto impossessi il vivo. La norma garantisce una tutela possessoria all'asse ereditario nel periodo che va tra la delazione e l'accettazione dell'eredità[1].
Al lume di ciò, il chiamato all'eredità, al quale sia impedito l'accesso ad un cespite dagli altri chiamati, ad esempio trattenendo le chiavi del bene e rifiutandone la consegna, ben può considerarsi spogliato ed esperire l'azione di reintegrazione[2]. Del resto, la ratio sottesa alla tutela possessoria è da ravvisarsi nella protezione che l'ordinamento intende garantire alla situazione di fatto contro atti di spoglio violento e clandestino per evitare il turbamento della pace sociale (ne cives ad arma veniant). Il rifiuto del coerede (rectius: del chiamato) detentore di far partecipare al godimento del bene gli altri chiamati integra la condotta di spoglio.
Per completezza, si precisa che secondo alcuni autori[3] la materiale apprensione del bene ereditario non importa la posizione di possessore, in quanto il vocato non esercita su di esso i poteri corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà ma un potere provvisorio «per conto di chi spetta»; egli altro non è se non un detentore.
In conclusione, il chiamato all'eredità, non nel possesso dei beni ereditari e privato dagli altri chiamati del godimento del bene, ha titolo per esperire le azioni possessorie di reintegrazione e manutenzione in virtù di quanto disposto dall'art. 460 c.c.

Avv.to Marcella Ferrari - marciferrari@gmail.com
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Note:



[1] Si veda Corte Cass. sent. 30 ottobre 1992 n. 11831

[2] In tal senso vedasi la sentenza della Corte Cass., sez. II, 28 gennaio 2005 n. 1741

[3] Vedasi C. M. BIANCA, Diritto civile. La famiglia, le successioni, 2, Milano, Giuffrè, 2005, 575 ss.


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