Gli apporti dei soci nelle società di capitali sulla base della riforma introdotta il 01/01/2004 dal Dlgs. 6/2003

di Dario La Marchesina - In questo articolo vorrei soffermarmi sull'argomento sempre attuale in ambito di diritto commerciale degli apporti dei soci nelle società di capitali sulla base della riforma introdotta il 01/01/2004 dal Dlgs. 6/2003; in particolare metterò a confronto le tesi dottrinali del Prof. Carlo Angelici (ordinario di diritto commerciale presso l'Università La Sapienza di Roma) e di U. Tombari, i quali si sono occupati a fondo della materia, citando inoltre la recente giurisprudenza concernente la questione.

Nella società di capitali gli apporti spontanei e i prestiti dei soci svolgono un ruolo significativo nella fase di finanziamento della società; grazie a questi strumenti la società viene dotata delle risorse necessarie per lo svolgimento della propria attività gestionale.

Gli apporti spontanei permettono ai soci di incrementare il patrimonio senza una formale imputazione al capitale sociale al fine di consentire alla società la propria attività di impresa.

Sono apporti di quasi capitale che svolgono la stessa funzione economica dei conferimenti, cioè mettere a disposizione dell'attività comune i mezzi economici necessari per il suo svolgimento; tuttavia nonostante le affinità esistenti con i conferimenti, i versamenti spontanei non sono collegati all'acquisto di una quota di partecipazione al capitale sociale.

I prestiti sono rapporti negoziali di credito tra soci e società; possono essere effettuati in un periodo di crisi della società (anomali) oppure in una normale fase della vita dell'impresa (non anomali).

La riforma del 2003 è intervenuta introducendo delle significative novità nella disciplina dei finanziamenti dei soci nelle s.r.l. (art. 2467 c.c.). 

Finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c

Entrambi i versamenti fanno parte dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 che formalmente si presentano come capitale di credito ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio.

L'ordinamento giuridico italiano prevede delle regole minime sulla formazione e sulla conservazione del capitale sociale, lasciando poi all'autonomia privata dei soci la libertà nel finanziamento dell'impresa con la possibilità di decidere se e con quali mezzi finanziare la società; esiste quindi un principio di libertà relativo al se finanziare l'impresa perché i soci non sono obbligati a soddisfarne i bisogni finanziari e un altro relativo al come finanziare l'impresa potendo scegliere tra forme di capitale proprio, di credito o quasi capitale.

Con la disciplina ex art. 2467 in riferimento alle s.r.l. il legislatore ha voluto ridurre la discrezionalità dei soci nel finanziare l'impresa, sulla base del principio di corretto funzionamento per impedire la sottocapitalizzazione nominale; nel caso previsto dal 2° comma dell'art. 2467 qualora la società si trovi in uno stato di crisi i soci: mantegono la libertà se finanziare o meno l'impresa; sono fortemente limitati sul come finanziare perché se scelgono di effettuare un prestito alla società invece di effettuare un conferimento, l'ordinamento per impedire che i soci scarichino il rischio d'impresa sui creditori prevede che "il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, e se avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito” (art. 2467 c.1 c.c.).

Tale disciplina è dettata per le s.r.l. ma essendo un principio generale è possibile applicarlo anche a tipi di società diverse, come le s.p.a.; è evidente che non ogni prestito concesso da qualunque socio alla società in presenza dei presupposti ex art. 2467 c.2 sia soggetto alla regola della postergazione coattiva, infatti è necessario che l'azionista creditore sia in grado di influenzare la decisione sul finanziamento operando come socio imprenditore e non come mero investitore.

Con il principio di corretto funzionamento dell'impresa, i creditori sono collocati nella situazione in cui si sarebbero trovati qualora i soci avessero da subito imputato le somme a capitale, aumento le probabilità di un loro soddisfacimento; inoltre la subordinazione del finanziamento agli altri crediti, e la sua assimilazione a conferimento, oltre a comportare la neutralizzazione del rischio legato alla possibilità di subire il concorso dei soci, ha la funzione di ridurre i costi di monitoring che il creditore dovrebbe sostenere per fronteggiare i rischi.

La disciplina ex art. 2467 c.c. si riferisce solo ai prestiti anomali, cioè sostituivi del capitale, per affrontare le ipotesi di sottocapitalizzazione nominale; tuttavia le forme degli apporti spontanei e dei prestiti non anomali sono lecite e ammesse dal sistema.

La differenza principale tra i prestiti anomali e gli apporti spontanei è che nel primo caso la postergazione è l'effetto imperativo di una riqualificazione coattiva operata dal legislatore, nel secondo caso invece è frutto dell'autonomia privata dei soci.

-Gli apporti spontanei

Gli apporti spontanei forniscono capitale di rischio senza alcun obbligo di pagamento di interessi né di restituzione da parte dei soci (a differenza dei prestiti).

La forma attraverso la quale gli apporti spontanei sono concessi alla società è quella del contratto con il quale le parti decidono il tipo di vincolo a cui i soci intendono assoggettare il finanziamento; le stesse parti decidono anche le condizioni alle quali è subordinata la restituzione dell'apporto, rendendolo così assimilabile al capitale proprio.

Il contratto è stipulato dall'organo amministrativo con i soci e non c'è bisogno della previa decisione dell'assemblea dei soci, salvo i casi in cui è richiesto il loro consenso.

Gli apporti spontanei vanno iscritti in un'apposita voce del patrimonio netto: altre riserve; all'interno di questa voce deve essere creata la sottovoce apporti spontanei indicando nella nota integrativa la sua origine, la possibilità di utilizzazione, la sua distribuibilità.

I prestiti anomali vanno iscritti nello stato patrimoniale al passivo ma nella categoria dei debiti verso i soci per finanziamenti; il carattere anomalo non va segnalato nella voce della nota integrativa perché in tale voce vanno inseriti solo i finanziamenti dotati di postergazione volontaria e non legale.

L'iscrizione a bilancio è il criterio principale con cui capire se si è in presenza di apporti spontanei o prestiti anomali quando la volontà delle parti è di difficile interpretazione.

-Modalità di restituzione

Anche quando la società è in bonis, la restituzione degli apporti spontanei è soggetta a procedure proprie dello scioglimento e distribuzione delle riserve; è necessaria la delibera dell'assemblea ordinaria della s.p.a. o la decisione dei soci nella s.r.l. essendo la riserva apporti spontanei posta nel patrimonio.

Le somme percepite dalla società come apporti spontanei non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito.

Gli apporti spontanei sono anche intaccati prima dei prestiti anomali perché le perdite intaccano prima le parti del patrimonio netto non vincolate, a protezione dei creditori, ossia le riserve.

L'ordine di rimborso o restituzione degli apporti spontanei prevede, anche in sede di liquidazione o procedura concorsuale, la subordinazione all'integrale soddisfacimento di tutti i creditori, compresi quelli postergati.

La dottrina si occupa delle tecniche con le quali la società acquisisce i mezzi finanziari e gli strumenti produttivi per lo svolgimento della sua attività.

Il problema è dato proprio dal modo in cui avviene l'entrata delle risorse nella società che condiziona i poteri, l'organizzazione e la remunerazione per chi ha fatto l'apporto o il finanziamento; infatti bisogna distinguere chi mette capitale di rischio, il socio, e chi mette capitale di credito, il creditore.

Necessariamente una categoria di essi può essere remunerata soltanto dopo che gli altri hanno conseguito la propria; ciò significa che almeno uno deve essere remunerato in proporzione al risultato e deve correre il rischio d'impresa.

In definitiva non tutti coloro che contribuiscono all'attività d'impresa possono essere fixed claimants; è necessario che alcuni assumano la posizione di residual claimants, con il potere di appropriarsi di quanto residua dopo la soddisdazione dei primi.

Quindi è evidente come in caso di risultati imprenditoriali negativi, essi pregiudichino prima la posizione dei soci (residual claimants) e solo successivamente quella dei creditori (fixed claimants).

Il patrimonio netto comprende il capitale sociale, la riserva legale, le riserve statutarie, la riserva da sovrapprezzo, le riserve facoltative e l'utile dell'esercizio; quando c'è una perdita, essa intacca il capitale sociale (capitale sociale 0 = perdita di tutto per i residual).

La ridistribuzione è decisa dall'assemblea dei soci e ha ad oggetto tutto tranne quello su cui c'è un vincolo come capitale sociale, riserva legale, riserve statutarie che necessitano di una modificazione dello statuto per essere distribuiti; invece sono liberamente distribuibili le riserve da sovrapprezzo, le riserve facoltative e gli utili.

E' necessario ora definire l'area del conferibile, cioè se i possibili apporti dei soci qualificati come conferimenti, siano ulteriormente delimitati rispetto alla loro strumentalità; la questione investe le specifiche esigenze delle società di capitali e delle società di persone, con particolare riferimento alla funzione del conferimento.

-Gli apporti dei soci nelle s.p.a. e nelle s.r.l.

La nuova disposizione in tema di conferimenti nelle s.r.l., l'art. 2464 c.c., stabilisce da un lato che possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica, dall'altro consente che il conferimento avvenga mediante una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad esso assegnato, gli obblighi assunti dal socio riguardanti la prestazione d'opera o di servizi a favore della società.

Mentre nelle s.p.a. c'è la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o di servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.

Da ciò si evince un diverso trattamento del conferimento d'opera o di servizi: nella s.p.a. resiste il rigido divieto per il quale l'apporto di tali utilità non può contribuire alla formazione del capitale sociale ma può soltanto dar luogo all'emissione di strumenti finanziari diversi dalle azioni ai quali possono essere attribuiti alcuni diritti patrimoniali o amministrativi tipici del socio; nella s.r.l., invece, il conferimento può avere ad oggetto la prestazione d'opera o di servizi a condizione che sia prestata una polizza assicurativa o una garanzia bancaria tale da garantire l'esecuzione del relativo obbligo.

Quindi nella s.p.a. è essenziale che il conferimento si realizzi in modo da acquisire un proprio valore autonomo in grado di emanciparsi dalle vicende personali del socio; deve configurarsi come un investimento che conserva il proprio significato indipendentemente dalla sua situazione personale.

Nelle s.r.l. non si richiede ciò e il valore del conferimento può ancora consistere in un'attività del socio.

-Finanziamenti e rischio d'impresa

A questo punto ci si pone il problema di evitare che con finanziamenti formalmente diversi dai conferimenti, il socio possa così sottrarsi al suo tipico rischio e quindi collocarsi sullo stesso piano dei creditori.

Tale questione spesso comporta una sottocapitalizzazione nominale della società; i soci contribuiscono a quanto economicamente necessario per lo svolgimento della sia attività, ma solo in parte a titolo di formale conferimento e il rimanente sulla base di rapporti omogenei con quelli nei confronti dei terzi.

Nella s.p.a. dove la partecipazione consiste in un mero investimento, non può essere ritenuto sospetto l'utilizzo parallelo di altre e distinte forme di investimento; nella s.r.l., invece, dove ci può essere un interesse immediato nei confronti dell'attività imprenditoriale, è comprensibile che ci si interroghi sui rapporti tra la posizione del socio e un'operazione di finanziamento a favore della società.

Come già visto in precedenza l'art. 2467 c.c. individua l'ipotesi in cui non è consentito al socio ridurre il proprio rischio tipico di residual claimants in situazioni di crisi della società; per questo opera una postergazione coattiva dei finanziamenti effettuati dai soci (prestiti anomali) che penalizza la scelta di voler proseguire l'attività imprenditoriale trasferendone il rischio sui terzi creditori.

Anche la giurisprudenza recente si è pronunciata su quest'ultimo aspetto evidenziando l'importanza di tutelare dal rischio i terzi creditori; il Tribunale di Milano con sentenza n. 3621 del 14 marzo 2014 ha statuito le seguenti massime (DeJure):

"La condizione di inesigibilità del credito ex art.2467 c.c. può essere eccepita dagli amministratori nei confronti del socio finanziatore solo laddove il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società, di per sé comportante proprio la conseguenza - in termini di posizione dei soci finanziatori - che la disciplina normativa pare mirata ad evitare, vale a dire la conseguenza che i soci - non conferendo capitale ma assumendo la veste di creditori vengano a traslare il rischio di impresa sugli altri creditori, così proseguendo l'attività sociale in danno di questi ultimi, che, "normalmente" in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti".

"Il presupposto della postergazione ex art.2467 c.c. è, come si legge nella motivazione, il ricorrere di "una fase in cui la società, in relazione all'attività in concreto esercitata, abbia la necessità delle risorse messe a disposizione dai soci (finanziatori) e non sia in grado di rimborsali", onde con l'art.2467 c.c. "è stato introdotto, per le imprese che siano entrate o stiano per entrare in una situazione di crisi, un principio di corretto finanziamento la cui violazione comporta una riqualificazione imperativa del „prestito‟ in „prestito postergato‟ (rispetto alla soddisfazione degli altri creditori)".

"In presenza dei presupposti di postergazione di cui al comma 2 dell'art.2467c.c., sia al momento di esecuzione del finanziamento sia al momento della richiesta di rimborso da parte del socio finanziatore, gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione al socio richiedente il rimborso del finanziamento laddove al momento del richiesto rimborso sussistano creditori "ordinari" (vale a dire creditori non soci, soggetti allo stesso vincolo) titolari di crediti scaduti e non soddisfatti o comunque non ancora scaduti".

Dario La Marchesina

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