In un'intervista a "la Repubblica", Armando Spataro, il procuratore aggiunto a Milano ha dichiarato che pur apprezzando lo sforzo di automatizzazione del sistema non si deve sottovalutare "il rischio di un conflitto tra la tecnologia e alcuni principi irrinunciabili del codice di procedura penale". Non possiamo ignorare - spiega Spataro - "l'esistenza di una soglia invalicabile tra ciò che non è coperto da segreto, e può essere messo a disposizione delle forze di polizia e degli attori del processo, e ciò che è segreto e deve rimanere nella disponibilità esclusiva del magistrato del pubblico ministero, come impone la legge". Sebbene una razionalizzazione tecnologica sia indispensabile non dobbiamo "dimenticare che anche l'innovazione ha bisogno di regole, responsabilità chiare, certezze, rigore, attendibilità. La lotta al terrorismo ci ha insegnato che è certo possibile raccogliere dati come se fossero gocce di pioggia su ognuno e ogni cosa, ma ci ha posto di fronte al dilemma di come la sicurezza debba sapersi conciliare con la libertà e la privacy dei cittadini". Insomma secondo il procuratore aggiunto "Non c'è alcun motivo di 'centralizzare' queste informazioni. Il sistema bilaterale di oggi, pubblico ministero e polizia giudiziaria, è il più adeguato a proteggere tutti i 'beni' in gioco: la riservatezza della privacy dell'indagato; l'efficacia dell'investigazione; il segreto dell'indagine.
Si informatizzi, allora, con firme certificate e crittografia questo rapporto bilaterale, almeno finchè il segreto non venga meno". L'intrusione è sempre possibile - spiega Spataro "ma nel sistema bilaterale di oggi i possibili responsabili della violazione del segreto sono di numero circoscritto. Nell'altro caso, nonostante password e altre tecniche, può esserlo l'organizzazione degli uomini che lo gestiscono".

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