La Corte di Cassazione interviene sulla vicenda del famoso 'sangue infetto' e sancisce che il ministero della Salute esercito' una 'insufficiente azione nell'attuazione del cosidetto 'Piano Sangue', non riuscendo ad impedire le infezioni da Hiv, epatite B ed epatite C, 'conseguenti ad emotrasfusione da sangue infetto o da assunzione di emoderivati infetti' riscontrate da tantissimi cittadini che, 'in epoca successiva agli anni '78, '85 e '88', si erano sottoposti a trasfusioni presso gli ospedali di Roma o avevano assunto emoderivati acquistati presso farmacie romane. In particolare, la Terza sezione civile, dichiarando 'inammissibili' alcuni ricorsi 'per sopravvenuta carenza di interesse', ha respinto i ricorsi relativi alla controversia
tra il ministero della Salute e dieci cittadini che avevano subito i danni da sangue infetto, mettendo in evidenza le responsabilita' del ministero stesso. Fermo restando che il ministero della Salute non poteva avere responsabilita' 'per le condotte tenute anteriormente alla prevedibilita' dei virus e alla possibilita' materiale di rilevarne l'esistenza', la Suprema Corte, allinenandosi ai giudici di merito, ha rilevato che legittimamente 'la sentenza impugnata ha ritenuto che la responsabilita' del ministero trovasse il suo fondamento in un comportamento omissivo e cioe' nell'inosservanza colposa dei suoi doveri istituzionali di sorveglianza, di direttive e di autorizzazione in materia di produzione e commercializzazione del sangue umano ed emoderivati, che prescinde del tutto da eventuali profili ascrivibili ad altri enti nella loro attivita' di effettiva distribuzione e somministrazione dei prodotti'

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