L'Usl, su indicazione ministeriale, riunì degli esperti per valutare se l'epatite fosse dipesa o meno dalla trasfusione. Concludendo che sì dipendeva da quella. Ma che no, il signore non aveva alcun diritto all'indennizzo perché erano trascorsi troppi anni tra la diagnosi della malattia e la richiesta, molti di più dei tre previsti dalla legge 238/1997 (che introduceva modifiche temporali alla 210/1992, per cui i termini erano decennali). Inutile cercare di far ragionare le istituzioni, spiegando che il ritardo dipendeva dalle tempistiche dilatate della diagnosi. Lo Stato ribadì che il signore non aveva alcun diritto al risarcimento.
Siccome fatta la legge fatto l'inganno (per godimento ogni tanto anche di noi comuni mortali), ecco che non perdendosi d'animo il trevigiano ha voluto presentare ricorso al Tribunale del Lavoro di Treviso. Ed ecco qui che il giudice gli ha dato ragione. Con sentenza depositata il 9 luglio 2012 ha sottolineato che non era possibile applicare il termine indicato perché: "Sul termine di decadenza relativo alla proposizione della domanda amministrativa, eccepito dalla difesa delle convenute va osservato che, trattandosi di un'epatite post-trasfusionale verificatasi prima delle modifiche della legge 238/1997, non può trovare applicazione il termine previsto dalla legge 25 luglio 1997/238 perchè la stessa deve essere intesa quale norma eccezionale non suscettibile di estensione analogica."
Dunque il Ministero dovrà pagare come indennizzo
un vitalizio di 730 euro mensili, con tanto di arretrati a partire dal 2004, a cui si sommeranno interessi legali e rivalutazione, per un totale di circa 80 mila euro. Inoltre i legali dell'uomo hanno già fatto richiesta di 208 mila euro, come risarcimento per il danno subito a causa della malattia trasmessagli.Decisione che siamo certi aprirà la strada a molti altri ricorsi di chi ha subito danni a causa di trasfusioni ospedaliere infette. Così che giustizia continui ad essere fatta.
Ogni tanto!
barbaralgsordi@gmail.it