La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21580 del 2010, ha ritenuto che il reato di falso ideologico in atto pubblico, previsto dall'articolo 483 del c. p., commesso da un privato cittadino, debba considerarsi reato di pura condotta
Rischia la condanna penale colui che presenti autodichiarazioni non veritiere o che ometta di indicare dati di fatto. Rilasciare dichiarazioni false, all'interno della propria autodichiarazione, lede il generale dovere di lealtà che incombe sul cittadino nei confronti delle istituzioni. Prescindendo dal fatto che il soggetto ottenga o meno il beneficio richiesto, la fattispecie di cui all'art. 483 c.p., è idonea ad integrare un reato di pura condotta e prescinde dall'ottenimento di un ingiusto profitto. Nel caso sottoposto all'esame della Suprema Corte di Cassazione, uno studente aveva omesso di inserire, nella propria autodichiarazione, resa la fine di ottenere una borsa di studio, il reddito posseduto dal fratello. La Corte di Cassazione, con la sentenza
n. 21580 del 2010, ha ritenuto che il reato di falso ideologico in atto pubblico, previsto dall'articolo 483 del c. p., commesso da un privato cittadino, debba considerarsi reato di pura condotta e che la fattispecie in oggetto debba ritenersi integrata ogni qualvolta vengano rese dichiarazioni non veritiere, o si ometta di indicare dati di fatto. Non è stata perciò accolta la tesi difensiva, sostenuta dal giovane studente, secondo cui lo stesso non avrebbe fornito i dati in quanto non era a conoscenza del reddito del fratello. Secondo gli ermellini l'autodichiarazione non può prescindere da un preventivo accertamento in ordine alla veridicità di quanto affermato dal dichiarante a pena di querela di falso.

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