La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 13234/2008) ha stabilito che non può essere considerata discriminazione quella posta in essere nei confronti di nomadi che si rendano responsabili di reati. Difatti, ha precisato la Corte, la discriminazione per l'altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l'altrui criminosità.
Gli Ermellini hanno infatti affermato che, "in una competizione politica particolarmente accesa (quella della sicurezza dei cittadini è tema che crea spesso forti tensioni emotive specialmente quando viene in risalto a seguito di gravi fatti criminosi) non si può dal contesto di un discorso estrapolare una frase poco opportuna per attribuire all'autore idee razziste senza esaminare il contesto nel quale tale frase è stata pronunciata e senza la valutazione degli elementi indicati a discolpa dall'autore della frase.
Nel caso in esame i prevenuti avevano precisato che la loro avversione non era diretta nei confronti dei […] in quanto tali, ma solo nei confronti di quelli che rubavano ponendo in pericolo la sicurezza dei cittadini" e che "quando la discriminazione non si manifesta all'eterno per mezzo di una esplicita dichiarazione di superiorità razziale o di odio nel significato letterale del termine, ma è frutto di un pregiudizio, quale ad esempio quello prima evidenziato, devono essere valutate tutte le circostanze temporali ed ambientali nelle quali quel pregiudizio è stato espresso, al fine di verificare l'effettiva sussistenza di un'idea discriminatoria fondata sulla diversità e non sul comportamento,si deve cioè stabilire se nella medesima situazione un altro soggetto appartenente a diversa religione, etnia, razza, ecc., sarebbe stato o no trattato in maniera diversa e se il diverso trattamento sia stato determinato da un'idea di superiorità razziale o di odio etnico, religioso, ecc. e non da altre ragioni, eventualmente anche censurabili. Insomma il giudice deve valutare la condotta dell'agente nel complesso, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, al fine di individuare la vera finalità ispiratrice della discriminazione ed escludere il reato quanto questa non sia stata determinata da superiorità razziale o da odio etnico, religioso, ecc.".
Con questa decisione, la Corte ha annullato la sentenza di condanna di un Sindaco (per propaganda razzista) che aveva assunto l'iniziativa di invitare i suoi cittadini a sottoscrivere una petizione con la quale chiedevano lo sgombero immediato di tutti i campi nomadi abusivi e provvisori.
Nell'impianto motivazionale della Sentenza si legge che "la legge n. 654 del 1975 (introdotta nel nostro Paese in esecuzione della convenzione di New York del 7 marzo 1966), ha aggiunto la Corte, all'art. 1 prevede che "discriminare significa porre in essere un comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza ecc. allo scopo di 'distruggere o compromettere il riconoscimento il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale, o in ogni altro settore della vita pubblica'. La nozione è stata ripresa e ribadita nell'articolo 43 comma 1 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e successivamente meglio puntualizzata nella direttiva n. 43 del 2000, introdotta nel nostro ordinamento con il decreto legislativo del 9 luglio del 2003 n. 215. In base a tale direttiva si ha discriminazione diretta quando, a causa della propria razza o origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga. Si ha invece discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza ed origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (articolo 2 decreto legislativo citato). L'anzidetto decreto, applicabile sia al settore pubblico che a quello privato, considera come discriminazioni anche le molestie o i comportamenti indesiderati (art. 2 comma 3)".
La Corte ha quindi aggiunto che "la discriminazione […] si deve fondare sulla qualità del soggetto (zingaro, nero, ebreo, ecc.) e non sui comportamenti. La discriminazione per l'altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l'altrui criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legittimamente discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere diverso".

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