L'amministratore non è legittimato a chiedere i danni subiti dalle singole unità abitative ovvero alle parti comuni. La domanda deve essere limitata al ripristino

La norma

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L'amministratore condominiale ha, in generale, ai sensi dell'art. 1130, n. 4, cod. civ., poteri meramente conservativi del diritto sulle parti comuni oggetto della violazione denunziata; poteri limitati, per loro natura, alle domande intese a conseguire il ripristino delle stesse nel loro normale, preesistente stato e giammai estesi, in modo automatico, a eventuali richieste di risarcimento dei danni (come quelli causati dalla svalutazione dell'immobile considerato nella sua unità).

I vincoli regolamentari

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I vincoli regolamentari che si risolvono in vere e proprie limitazioni all'esercizio dei diritti individuali sulla proprietà esclusiva o sulle parti comuni, integrano vere e proprie servitù prediali reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale - piuttosto che oneri reali - consistenti, di norma, in prestazioni periodiche di dare, dovute in necessaria connessione con la titolarità di un bene e "garantite" soltanto e direttamente da quest'ultimo.

Tali vincoli devono essere specificamente trascritti, nel senso che - stante il combinato disposto degli artt. 2659, comma primo, n. 2, e 2655 cod. civ. (e in applicazione dell'art. 17, comma terzo, della legge n. 52/85) - deve risultare da apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto (in forza del quale si domanda la trascrizione) «anche il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa, che quell'atto produce in relazione al bene» (cfr. Cass. civ. n. 24526/2022 cit.; Cass. civ., 25 febbraio 2022, n. 6357; Cass. civ., 19 marzo 2018, n. 6769; Cass. civ., 31 luglio 2014 n. 17493).

Il dies a quo nel caso di divieto di cambio di destinazione

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Trattandosi di servitù negativa non apparente, nella quali l'esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell'onere di riattivazione del diritto successivamente a un evento che lo abbia violato e tale evento si produce per il solo verificarsi di un fatto che ne ha impedito l'esercizio (omesso uso dello jus prohibendi da parte di alcuno dei proprietari dei fondi dominanti, protratto per un periodo di oltre venti anni: cfr. Cass. civ., 29 aprile 2010, n. 10280).

L'interruzione del termine

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L'interruzione del termine di "prescrizione" può essere determinata soltanto, oltre che dalla proposizione della domanda giudiziale (essendo inidonea, a tal fine, la costituzione in mora o la diffida stragiudiziale, il cui effetto interruttivo è circoscritto ai diritti di obbligazione e non concerne i diritti reali), dal riconoscimento da parte del proprietario del fondo servente

La titolarità del diritto risarcitorio

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I diritti risarcitori, invece, restano nella disponibilità esclusiva dei singoli condòmini sicché l'amministratore non può agire se non in virtù di mandati speciali sostanziali a tutela delle proprietà private.
La legittimazione dell'amministratore non può, infatti, «estendersi alla proposizione, senza alcun mandato rappresentativo da parte dei singoli condòmini, delle azioni risarcitorie, in forma specifica o per equivalente pecuniario, relative ai danni» dagli stessi subiti «nei rispettivi immobili di proprietà esclusiva», non bastando il semplice «meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale», che vale, bensì, «ad attribuire, nei limiti di legge e di regolamento, la mera legittimazione processuale a norma dell'art. 77 cod. proc. civ.», ma pur sempre, evidentemente, sul presupposto di quella sostanziale, già aliunde acquisita in conformità a diritto: cfr. Cass. civ., 16 maggio 2014, n. 10855; Cass civ., 8 novembre 2010, n. 22856; Cass civ., 26 aprile 2005, n. 8570).


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