Una breve analisi sul limite di età nei concorsi pubblici e la giurisprudenza amministrativa recente in materia

Bando concorso 140 commissari Polizia di Stato

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Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana IV Serie speciale "Concorsi ed esami" del 7 dicembre 2021 è stato pubblicato il bando del concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione di 140 commissari della Polizia di Stato, indetto con decreto del Capo della Polizia del 3 dicembre 2021.
L'articolo 3 del decreto, "Requisiti di partecipazione e cause di esclusione", stabilisce, alla lettera d, che il limite di età è il trentesimo anno non compiuto.

Tale limite, precisa la lettera d dell'articolo 3, è elevato, fino a un massimo di tre anni, in relazione all'effettivo servizio militare prestato dai candidati. Si prescinde, inoltre, dal limite di età per i candidati appartenenti alla Polizia di Stato.

Per i candidati appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione Civile dell'interno il limite d'età è di trentacinque anni.

Il limite di età è una scelta sensata?

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La questione è la seguente: il limite di età è una scelta sensata? O estromette migliaia di candidati meritevoli dalla partecipazione al concorso?

Il T.A.R. Lazio ha ammesso un candidato alle prove del concorso sul presupposto che "nel contemperamento dei contrapposti interessi, assume allo stato rilievo l'intervenuta rimessione da parte del Consiglio di Stato, con ordinanza numero 3272 del 2021, alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea di questione analoga a quella posta con il presente ricorso e insorta in contenzioso riferito al precedente concorso per commissario" (Concorso 120 Commissari).

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione se la normativa nazionale (il decreto legislativo numero 334 del 2000 e le fonti di rango secondario adottate dal Ministero dell'Interno), la quale prevede un limite di età pari a trent'anni per partecipare al concorso di commissario della carriera dei funzionari della Polizia di Stato, sia in contrasto con la normativa dell'UE in materia di parità di trattamento e non discriminazione (la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, l'articolo 3 del TUE, l'articolo 10 del TFUE e l'articolo 21 della Carte dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato

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L'articolo 3 comma 6 della legge numero 127 del 15 maggio 1997 stabilisce che la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell'amministrazione.

La figura professionale del commissario di polizia è disciplinata dal decreto legislativo numero 334 del 5 ottobre 2000: il limite di età per partecipare al relativo concorso è previsto dall'articolo 3, comma 1, secondo il quale il limite di età per la partecipazione al concorso, non superiore a trenta anni, è stabilito dal regolamento adottato ai sensi dell'articolo 3, comma 6, legge numero 127 del 15 maggio 1997, fatte salve le deroghe di cui al predetto regolamento (il regolamento d.m. numero 103 del 13 luglio 2018, all'articolo 3, comma 1, prevede un limite di 30 anni).

L'articolo 3, comma 4 del decreto legislativo numero 334 del 2000, statuisce che il venti per cento dei posti disponibili per l'accesso alla qualifica di commissario è riservato al personale della Polizia di Stato in possesso del prescritto diploma di laurea a contenuto giuridico e con un'età non superiore a quaranta anni.

Il Consiglio di Stato (ordinanza n. 3272/2021) ha sollevato dubbi sulla compatibilità della sopra citata normativa nazionale con il diritto dell'Unione Europea, sul rilievo che il possibile contrasto non sia tale da potere essere superato con la disapplicazione diretta della norma nazionale in favore della norma europea, e richieda quindi la pronuncia della Corte di Giustizia.

La IV Sezione ha precisato che le circostanze di cui a questo procedimento rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE [1], trattandosi di una questione relativa all'accesso al lavoro nel settore pubblico, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a, della direttiva. Si tratta, inoltre, di una discriminazione in base all'età ai sensi dell'art. 2 della direttiva, non giustificata ai sensi dei successivi artt. 4 e 6 di essa [2].

A semplice lettura dell'articolo 2, comma 2, del decreto numero 334 del 2000, è evidente che le funzioni del commissario di Polizia sono essenzialmente direttive e di carattere amministrativo. Non sono previste come essenziali a questa figura professionale funzioni operative di tipo esecutivo che, come tali, richiedano capacità fisiche particolarmente significative, paragonabili a quelle richieste al semplice agente di un corpo di polizia nazionale. Infine, l'età pensionabile fissata a 61 anni assicura un congruo periodo di servizio prima del collocamento a riposo anche a chi incominciasse la propria carriera dopo i 30 anni.

Note bibliografiche:

[1] La direttiva 2000/78/CE è stata attuata nell'ordinamento nazionale dal decreto legislativo numero 216 del 9 luglio 2003.

[2] La disciplina degli articoli 4 e 6 della direttiva è riprodotta nello stesso articolo 3 del decreto legislativo numero 216 del 2003, il quale stabilisce che, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell'ambito del rapporto di lavoro … non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse … all'età …, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Il comma 4 bis, lettera c, dell'articolo 3 statuisce che sono fatte salve le disposizioni che prevedono trattamenti differenziati in ragione dell'età dei lavoratori e in particolare quelle che disciplinano la fissazione di un età massima per l'assunzione, basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento. Il comma 6, infine, precisa che non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione allo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.


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