I giudici, con la sent. n. 22/2021, hanno individuato i presupposti affinché il vicino possa essere ritenuto legittimato ad impugnare un titolo edilizio

L'Adunanza Plenaria sul rapporto tra vicinitas e interesse ad agire

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Il principio della vicinitas, dal quale discende il diritto all'impugnazione del titolo edilizio da parte del vicino, è riconosciuto in maniera unanime, ma non pochi dubbi sono invece sorti circa la portata da attribuire a tale principio, in particolare in relazione alla capacità dello stesso di inglobare qualunque valutazione sulla sussistenza sia della legittimazione ad agire, sia dell'interesse ad agire del ricorrente.

Sul punto, il Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, con sentenza n. 22/2021, dopo aver ricordato l'evoluzione storica di tale criterio, ha avuto modo di precisare i differenti presupposti necessari al riconoscimento della legittimazione ad agire e dell'interesse ad agire, da cui è discesa la necessità di svolgere un'apposita e separata analisi in relazione a quest'ultimo, anche nel caso in cui sia applicabile il criterio della vicinitas.

La nascita del principio della vicinitas e la sua evoluzione

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Il criterio della vicinitas nasce in risposta alle difficoltà incontrate dalla pubblica amministrazione nel porre in essere un efficace sistema di vigilanza e repressione in relazione al dilagante fenomeno dell'abusivismo edilizio che aveva colpito - e colpisce tutt'ora- l'intera penisola.

L'attenzione al tema dell'abusivismo, per lungo tempo sottovalutato, trae la propria origine dal sempre maggior interesse che è stato riconosciuto sia all'aspetto estetico delle città -che a seguito della ricostruzione post-bellica vedevano totalmente modificata la loro fisionomia-, sia in relazione al sempre maggior interesse verso la cura del paesaggio, ma soprattutto a seguito di eventi catastrofici quali la frana di Agrigento, che ha spinto il legislatore ad intervenire in maniera massiccia al fine di arginare tale fenomeno.

Una importate innovazione fu introdotta dal legislatore con la modifica dell'art. 31 della l.n. 1150/1942 (Legge Urbanistica), ad opera della c.d. Legge Ponte (l.n. 765/1967), con cui venne riconosciuta a "chiunque" la possibilità di prendere visione dei progetti presentati e delle licenze edilizie rilasciate, nonché, ed è qui la rivoluzione, "ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione".

Risulta quindi evidente come il legislatore, al fine di combattere l'abusivismo edilizio, scelse di riconoscere un ruolo di "vigilanza" in capo a tutti i cittadini, introducendo in tal modo una forma di partecipazione del cittadino all'attività di tutela dell'interesse pubblico, con particolare riferimento alla corretta evoluzione edilizia del tessuto cittadino.

Ma la soluzione trovata portò ad un nuovo problema: il legislatore, con la modifica apportata dalla Legge Ponte alla l.n. 1150/1942 aveva esteso eccessivamente il potere di vigilanza in capo alla cittadinanza - tanto che si parlò di azione popolare-, giungendo, dalla mera lettura della disposizione appena riportata, a riconoscere a un qualsiasi cittadino, abitante di una qualsiasi parte della città - o anche in un'altra città-, la possibilità di impugnare una qualsiasi licenza edilizia, anche laddove questa non fosse in grado di procurare allo stesso una qualsivoglia lesione.

Da qui nacque la necessità di individuare i limiti all'esercizio di tale attività da parte del cittadino, necessità alla quale la giurisprudenza rispose prontamente, individuando nel giudice adito il soggetto chiamato a valutare la reale capacità lesiva della licenza edilizia in relazione agli interessi di vita di cui il soggetto attore risulta portatore.

La vicinitas e l'interesse ad agire

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Così ricostruito il quadro storico, i giudici di Palazzo Spada si sono concentrati sulla risoluzione del contrasto, sorto in giurisprudenza, in merito alla possibilità di ritenere il criterio della vicinitas in grado di incorporare ogni valutazione sia in relazione alla legittimazione ad agire, sia in relazione all'interesse ad agire.

In estrema sintesi, si deve ricordare come la legittimazione ad agire "in linea generale, afferisce ad una posizione sostanziale, individuando un interesse sufficientemente differenziato e qualificato, di tensione verso un bene della vita, avente la consistenza di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo e presuppone la titolarità di tale qualificata posizione sostanziale" (T.A.R. Napoli, sen. n. 3595/2020); al contrario, l'interesse ad agire sussiste tutte le volte in cui sia possibile riconoscere in capo al ricorrente la possibilità di, a seguito di una positiva decisione del giudice, trarre un effettivo vantaggio.

Nella sentenza, dopo aver evidenziato ed analizzato i due filoni giurisprudenziali formatisi sul punto, i Giudici hanno deciso di aderire all'interpretazione in base alla quale legittimazione ad agire ed interesse ad agire devono essere tenuti sempre distinti - non potendo l'interesse ad agire essere mera conseguenza della legittimazione ad agire-, e che il criterio della vicinitas è certamente idoneo a riconoscere in capo al "vicino" la legittimazione ad impugnare il titolo edilizio al fine di chiederne l'annullamento, ma non può invece rendere superflua anche la valutazione relativa all'interesse ad agire, che al contrario dovrà essere oggetto di apposita analisi, da cui dovrà risultare un reale vantaggio, in capo al ricorrente, derivante dal ripristino della situazione antecedente, non potendo ritenere sussistente un interesse ad agire per un fine meramente emulativo.

In altre parole, "nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato" (Cons. St. n. 22/2021).

Al fine di comprendere quando sia possibile riconoscere in capo al vicino l'interesse ad agire può risultare utile fare due esempi:

1) - Tizio, Caio e Sempronio sono proprietari di tre villette sulla stessa strada. Tizio pone in essere una attività costruttiva da cui deriva la violazione dei limiti di distanza, previsti dalla normativa, rispetto all'abitazione di Caio. È possibile riconoscere in capo a Sempronio il potere di impugnare il titolo autorizzativo legittimante l'intervento, anche se tale intervento non ha procurato alcun reale danno all'abitazione di Sempronio? O per meglio dire, che vantaggio avrebbe Sempronio in caso di accoglimento della domanda di annullamento?

In questo caso, stante l'evidente sussistenza della vicinitas in capo a Sempronio, non è possibile ravvisare alcun interesse ad agire in giudizio poiché, in caso di annullamento e di demolizione della costruzione abusiva, Sempronio non trarrebbe alcun tipo di giovamento, se non di tipo prettamente emulativo.

2) - Tizio, Caio e Sempronio sono proprietari di tre villette sulla stessa strada. Tizio pone in essere una attività costruttiva da cui deriva la violazione dei limiti di distanza, previsti dalla normativa, rispetto all'abitazione di Caio. Da tale abuso deriva inoltre per Sempronio una riduzione della visuale del paesaggio, nonché un deprezzamento evidente dell'immobile, con conseguente difficoltà di venderlo in maniera proficua.

In questo caso, risulta invece evidente come nei confronti di Sempronio, oltre alla legittimazione ad agire, sia possibile riconoscere anche l'interesse ad agire, dal momento che dall'annullamento del titolo edilizio (e dalla demolizione di quanto da questo assentito), lo stesso può trarne un evidente vantaggio, sia di tipo "visivo", sia economico.


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