La Cassazione nega il risarcimento del danno al pedone che mette un piede dentro la fessura di un marciapiede ma non prova il nesso tra cosa e danno

Risarcimento danni per la caduta in una fessura del marciapiede

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La Cassazione con l'ordinanza n. 21395/2021 (sotto allegata) conferma le conclusioni dei giudici di merito e nega il risarcimento dei danni al pedone distratto che ha convenuto il Comune, proprietario della pubblica via, a risarcirgli i danni riportati a un piede a causa di una fessura presente sotto il marciapiede, a suo dire non visibile. Peccato però che l'attore non è stato in grado di dimostrare la responsabilità dell'Ente attraverso la prova del nesso di causa tra il danno e la cosa in custodia né la dinamica del sinistro occorsogli, sicuramente anche o esclusivamente per la sua condotta negligente.

La vicenda processuale

Un cittadino ricorre in Tribunale per chiedere la condanna del Comune a risarcirgli i danni subiti a causa di una caduta su una pubblica via, dopo che il suo piede finiva in una fessura non visibile presente sotto il marciapiede. Il giudice di prime cure, così come quello di Appello però respingono la domanda risarcitoria del danneggiato.

Il pedone nega le conclusioni della Corte sulle prove del sinistro

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Il soccombente decide quindi di adire la Corte di Cassazione presentando un ricorso contenente quattro motivi di doglianza.

  • Con il primo denuncia l'erronea applicazione dell'art 2051 c.c, che regola la responsabilità per le cose in custodia perché la sentenza
    impugnata ha concluso che lo stesso non ha fornito alcuna prova fotografica in grado di dimostrare di essere incorso in un'insidia stradale e che il sinistro è stato provocato dalla presenza di una fessurazione posta tra due auto in sosta.
  • Con il secondo lamenta l'erronea individuazione da parte del giudice del regime di responsabilità della pubblica amministrazione.
  • Con il terzo rileva la laconicità della motivazione della Corte in relazione alle prove del sinistro.
  • Con il quarto infine denuncia l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha compensato le spese di lite, richiamando a sostegno della sua tesi la pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018 che prevede la compensazione anche in presenza di ragioni "gravi ed eccezionali."

Nessun risarcimento se il danneggiato non prova il nesso tra cosa e danno

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La Corte di Cassazione, per nulla convinta delle ragioni addotte dal ricorrente, rigetta il ricorso per le seguenti ragioni.

Per gli Ermellini il primo e il secondo motivo, che esamina congiuntamente perché collegati, sono infondati. La Corte di appello ha rigettato la richiesta risarcitoria facendo proprio il rilevo del giudice di primo grado, il quale ha respinto la pretesa risarcitoria azionata perché fondata sulla sola testimonianza resa da una teste di parte attrice la quale tra l'altro non era presente all'evento, essendo arrivata sul posto della caduta solo in un secondo momento. La stessa quindi non era in grado di affermare che il sinistro si è verificato in una fessura del marciapiede posta tra due auto.

La Corte nel rigettare per questa ragione la richiesta risarcitoria del pedone, non ha comunque posto a suo carico un onere probatorio non previsto, ma ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui "non sussiste responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, qualora il danneggiato si astenga dal fornire qualsiasi prova circa la dinamica dell'incidente e il nesso eziologico tra il danno e la cosa" poiché è suo onere dimostrare "l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa."

La ragione dipende dalla formulazione dell'art 2051 c.c, il quale "non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l'evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall'ordinaria diligenza del custode."

Da qui la necessità "che il preteso danneggiato dimostri almeno la sussistenza del nesso causale tra "res" e danno, giacché, altrimenti, quella prevista dall'art. 2051 cod. civ sarebbe una fattispecie fondata su un criterio addirittura stocastico (casuale, aleatorio) d'imputazione della responsabilità."

La sentenza impugnata poi afferma che l'attore non è riuscito a dimostrare l'insidia, chiarendo in questo modo che la responsabilità del custode si ferma di fronte al dovere di ragionevole cautela di chi della cosa fa uso. Affermazione che replica quanto sancito dall'art. 1227 c.c., in base al quale, come affermato più volte dalla stessa Cassazione "il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può — in base ad un ordine crescente di gravità — o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell'art. 2051 cod. civ.)."

Infondato anche il terzo motivo poiché non rileva ai fini del giudizio di Cassazione il semplice difetto di -sufficienza- della motivazione e perché non è ammissibile la censura che, sotto l'apparente violazione del vizio di motivazione, è finalizzata a rivalutare nel merito i fatti storici sui quali è già intervenuta la valutazione e la decisione del giudice di merito.

Infondato infine anche il quarto motivo perché esula dai poteri della Corte di legittimità sindacare le ragioni per le quali il giudice di merito ha deciso di compensare le spese.

Scarica pdf Cassazione n. 21395/2021

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