La prova scientifica è sempre più utilizzata in ambito penale. Vediamo di cosa si tratta e quali sono i suoi connotati e i suoi limiti, con casi pratici

Cosa si intende per prova scientifica

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Oggi si fa sempre più ricorso all'utilizzo della prova scientifica.

Per prova scientifica si intende l'impiego di una legge scientifica o di un metodo tecnologico ai fini dell'accertamento del fatto in sede processuale, qualsiasi sia il metodo adottato, può essere intesa come dispositivo tecnico scientifico atto alla ricostruzione del fatto storico.

Si è evidenziato come la prova scientifica sia una prova come tutte le altre e non una prova sui generis e pertanto deve calarsi nei canoni dell'epistemologia processuale, nel rispetto delle regole probatorie quanto ai criteri di giudizi.

Si è affermato che sono quattro i fattori determinanti nella prassi per il crescente ricorso alla prova scientifica: a) l' ampliamento del campo di applicazione; b) l'attenzione dedicata al nesso causale; c) lo sviluppo di tecniche di indagine; d) l'ingresso delle scienze in ambiti delicati come la mente umana.

Questo strumento entra in gioco nel processo penale attraverso il mezzo di prova della perizia in dibattimento o dell'accertamento tecnico del P.M.

L'art. 224 bis c.p.p.

A tal proposito, giova ricordare come l'evoluzione tecnico - scientifica abbia portato all'introduzione nel nostro codice di procedura penale dell'art. 224 bis, che si occupa di provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1996 aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 224 c.p.p. nella parte in cui consentiva che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, potesse disporre misure che comunque avessero inciso sulla libertà personale dell'indagato al di fuori dei casi e modi previsti dalla legge.

Era stata censurata l'assoluta genericità della formulazione della norma che non precisava limiti e casi degli accertamenti che invadessero la sfera corporale del soggetto.

In seguito al Trattato di Prum, il legislatore ha raccolto l'invito della Corte ed ha disciplinato la perizia che comporta pratiche invasive sulle persone indicando i casi in cui l'iniziativa è consentita.

Inoltre la perizia deve apparire assolutamente necessaria e l'invasività è limitata al prelievo di capelli, peli, o mucosa del cavo orale su persone ai fini della determinazione del profilo del DNA o di accertamenti medici.

Dalla disciplina fin qui effettuata, è chiaro che bisogna allontanarsi dalla qualificazione originaria di "Iudex peritus peritorum", ma attribuire un ruolo diverso al giudice.

Si parla di un giudice pronto ad esaminare contrapposte visioni scientifiche e scegliere quella più convincente, lasciando spazio al principio del contraddittorio e delle eventuali credenze probatorie che sono in grado di confermare o smentire il giudizio dell'esperto.

Criteri di affidabilità della prova scientifica

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La via d'uscita al paradosso è stata data dalla sentenza di Daubert del 1993, la quale ha indicato una serie di criteri di affidabilità della prova scientifica che sono i seguenti:

  • verificabilità del metodo: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti;
  • falsificabilità: la teoria scientifica deve essere sottoposta a tentativi di falsificazione i quali, se hanno avuto esito negativo, la confermano nella sua credibilità. La falsificabilità diviene quindi per Popper il criterio di demarcazione che ci mette in grado di distinguere tra le proposizioni che appartengono alla scienza e a quelle non scientifiche.
  • sottoposizione al controllo della comunità scientifica: il metodo deve essere stato reso noto in riviste specializzate in modo da essere controllato dalla comunità scientifica;
  • conoscenza del tasso di errore: occorre che al giudice sia resa nota la percentuale di errore accertato o potenziale;
  • generale accettazione: il giudice deve tener conto, se il metodo proposto svolge una generale accettazione nella comunità di esperti.

Partendo da questi presupposti , la sentenza Daubert ha specificato gli standard che il giudice deve controllare per l'ammissibilità della prova scientifica:

  • se la teoria o la tecnica è stata testata;
  • se la teoria o la tecnica è stata sottoposta a pubblicazione ed a valutazione indipendente;
  • se è conosciuto il tasso di errore o potenziale della tecnica;
  • se la teoria o la tecnica è stata accettata dalla comunità scientifica di riferimento.

Utilizzare nel processo penale nuove conoscenze scientifiche significa essere in possesso dei criteri che consentono di discriminare tra conoscenze scientifiche e la scienza spazzatura.

Linee guida per l'acquisizione della prova scientifica

Alcuni punti delle Linee Guida per l'acquisizione della prova scientifica nel processo penale, elaborate da un gruppo di esperti, approvate all'unanimità, hanno stabilito che il rapporto tra scienza e diritto non è estraneo.

Infatti il punto n.1. ha affermato che la prova scientifica deve rispondere ai requisiti della rilevanza nell'ottica della sua idoneità epistemologica e pertanto si distingue dalla cd pseudo scienza per il suo rigore metodologico.

Non è possibile, quindi, inserire nel processo qualunque conoscenza che non sia ragionevolmente fondata; infatti per essere processualmente acquisibile nel processo deve avere le caratteristiche sia di una giustificabilità dei metodi seguiti e che dei risultati ottenuti.

Il punto n. 8 invece ha affermato che la discussione sulla prova scientifica non può prescindere dalla scientificità dell'inferenza, ovvero dal corretto costruirsi di un argomento ispirato a parametri di massima razionalità attraverso concatenazioni logiche atte a corroborare un'ipotesi oltre ogni ragionevole dubbio.

Il Dna

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Sul versante della prova penale scientifica il DNA costituisce una fondamentale ma scientificamente molto complessa tecnica di indagine finalizzata a diventare strumento di accertamento.

Infatti ormai quasi quotidianamente i mezzi di informazione riportano fatti di cronaca giudiziaria in cui la prova del DNA consente di scoprire i colpevoli di efferati delitti ovvero di ricostruire la dinamica criminosa.

L'uso crescente delle indagini genetiche è dovuto all'affinamento delle tecniche di laboratorio per l'estrazione di tracce biologiche da svariati tipi di reperto.

Il ricorso sempre più frequente alla prova genetica ha evidenziato, oltre alla sua ben nota strumentalità rispetto alla ricostruzione del fatto storico o alla cooperazione internazionale, il riferimento a futuribili quanto ancora incerti impieghi della genetica.

Il DNA ha ottenuto un primo espresso riconoscimento del suo impiego nel procedimento penale con la legge n. 155 del 2005 che ha disciplinato il prelievo di materiale biologico sia a fini di identificazione dell'indagato, sia nell'ambito degli accertamenti e rilievi urgenti d'iniziativa della polizia giudiziaria.

I genetisti concordano sul fatto che il test del DNA in se è praticamente infallibile: infatti bastano 13 frammenti di DNA compatibili con la stessa persona per avere la sicurezza che il materiale biologico esaminato appartenga proprio a quella persona e non possa appartenere a nessun altro individuo.

La sentenza n. 16810/2019

In merito a ciò la sentenza della Cassazione Penale n. 16810 del 2019, richiama il valore che la giurisprudenza conferisce all'esito dell'indagine genetica condotta sul DNA del presunto autore di un reato.

In particolare, la Suprema Corte rammenta come al suddetto esame sia attribuita una valenza processuale differenziata a seconda della procedura di analisi, del rispetto dei protocolli internazionali in materia di reputazione e conservazione, nonché in base al suo esito.

Se l'esame viene svolto sulla base delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione, in considerazione dell'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova e non di mero elemento indiziario, ai sensi dell'art. 192,II comma c.p.

Da ciò discende quindi, la responsabilità penale dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti.

Peraltro, soltanto nei casi in cui l'indagine genetica non offra risultati assolutamente certi ai suoi esiti può essere attribuita valenza indiziaria.

Infine, quando l'analisi comparativa del DNA risulti svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, non può ritenersi che gli esiti di compatibilità del profilo genetico comparato abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro valenza probatoria; in questo caso, detti elementi costituiscono un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile, di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori.

L'effettiva rilevanza del DNA a fini probatori

Occorrerebbe effettuare una disamina sull'effettiva rilevanza ai fini probatori del DNA e soprattutto capire se tale prova scientifica possa essere considerata prova regina.

Nella stragrande maggioranza dei casi, i DNA repertati sulle scene del crimine sono di piccola quantità, per cui molto spesso sono oggetto di accertamenti irripetibili ex art. 360 c.p.p., e talora solo a seguito dell'analisi genetica è possibile iscrivere fattivamente un soggetto nel registro degli indagati.

Tuttavia, parte della comunità scientifica forense sta prendendo posizioni nuove e diverse, in cui il risultato dell'accertamento della prova genetica non costituisce più il corpus di prova regina.

Secondo tale orientamento il dato genetico, se non è corredato da ulteriori riscontri scientifici, si limita ad essere mero indizio, in quanto il DNA non è, in base all'esame genetico, databile.

La sola presenza di DNA su una scena del crimine o di un reperto, non può da sola essere considerata come prova regina, poiché, dovrà essere concorde con quanto risulta da altri esami performati dalle diverse figure di professionisti.

I limiti tecnico - scientifici

Inoltre risulta di assoluta importanza sottolineare come il DNA sia soggetto a dei limiti sia giuridici che tecnico - scientifici.

I limiti tecnico scientifici si articolano su due piani: sono individuabili sia cause che possono inficiare o diminuire l'attendibilità della prova genetica (e attengono al procedimento di formazione della stessa), sia cause attinenti alle peculiarità strutturali dell'indagine genetica.

Al primo gruppo appartengono:

  • le impreparazioni dell'operatore in sede di sopralluogo;
  • l'inadeguatezza della repertazione e della conservazione del materiale biologico;
  • la possibile mancata documentazione sulle modalità operative;
  • l'incompleta discovery sui protocolli utilizzati;
  • la modesta competenza dell'esperto che ha compiuto l'accertamento genetico;
  • la scorretta trascrizione del codice di un genotipo;
  • gli eventuali errori nell'immissione dei profili genetici nella banca dati;
  • la scarsa competenza dell'esperto che presenta i risultati del giudice.

L'altra categoria dei limiti tecnici - scientifici che riguardano specificamente la peculiare struttura della prova del DNA si riconducono ad alcuni fattori oggettivi oppure soggettivi, in quanto riferibili all'uomo:

  • la non databilità della traccia biologica dalla quale è estratto il profilo genetico;
  • la facile trasportabilità del DNA;
  • la degradazione enzimatica del DNA causata dalle componenti fungine e/o batteriche che possono attaccare il reperto;
  • il decadimento fisico - chimico del DNA causato da fattori ambientali;
  • la contaminazione esogena in cui la commistione di componenti biologiche è riconducibile ad errori umani;
  • la contaminazione endogena dovuta alla presenza, iniziale o da inidonea repertazione di più materiali organici;
  • la contaminazione cd. sporiadica relativa a esigue quantità di substrato genetico.

Il caso Meredith

A tal proposito il caso Meredith docet; infatti, per azzerare una prova processuale di un'indagine scientifica che utilizza il DNA, basta incorrere in un piccolo errore, che può riguardare la raccolta, la conservazione, l'analisi e la quantità del campione.

A tal proposito proprio nel caso Meredith, i periti del primo giudice avevano riscontrato sul reggiseno della ragazza uccisa e sull'arma del delitto tracce ematiche asseritamente decisive nei confronti di Raffaele e Amanda, ma una perizia disposta dai giudici di Appello ha ritenuto del tutto inattendibili tali prove, poiché secondo la perizia firmata da due esperti dell'Istituto di medicina legale dell'Università La Sapienza di Roma, non sono state seguite le procedure internazionali di sopralluogo e i protocolli di raccolta e campionamento e non si può escludere che i risultati delle analisi possano derivare da contaminazione.

Pertanto, la prova scientifica potrà essere considerata prova regina solo quando questa sia in grado di raggiungere, con certezza assoluta e al di là di ogni ragionevole dubbio, conclusioni scientifiche certe e definitive, perché qualora insorgesse un minimo dubbio prevarrebbe il principio in dubio pro reo.

E' possibile applicare inoltre l'esperimento giudiziale anche alla prova del DNA, facendo si che il dato genetico, statico si trasformi in dato dinamico scientificamente ed oggettivamente preciso ed idoneo alla valutazione del giudicante.

Il caso Yara Gambirasio

Tale concetto ha un'amplia ed immediata applicazione nei casi odierni, come nel caso dell'omicidio di Yara Gambirasio che ha visto la condanna dell'imputato Massimo Giuseppe Bossetti solo sulla base dell'identificazione genetica, mancando l'elemento dinamico.

Infatti l'imputato è stato condannato sulla base del solo dato del DNA, inteso come elemento statico, ma la P.M. ha fornito un'accurata e dettagliata descrizione di come l'imputato abbia ivi deposto la sua traccia biologica, a seguito dell'aggressione alla vittima mediante l'uso di un coltello.

Sarebbe stato opportuno che la Corte, d'ufficio o su richiesta delle parti avesse ordinato un esperimento giudiziale la cui finalità era quella della riproduzione dell'atto omicidiario e successivamente andare a verificare se il DNA di Bossetti si potesse trovare nel posto ove repertato.

Per concludere a mio avviso, la chiave di svolta per poter aumentare e massimizzare la comprensione e il giudizio del dato scientifico in sede processuale potrebbe essere l'esperimento giudiziale, sinergizzando il dato statico dell'esame genetico con il dato dinamico proveniente dall'integrazione di questo con i fattori quantitativi e spaziali.


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