La giurisprudenza dominante annovera fra le prove documentali i messaggi conservati nella memoria del telefono, talché la relativa attività acquisitiva non richiede l'osservanza di garanzie difensive

Attività investigativa e dati cellulare

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La casistica indica che il ricorso, da parte della polizia giudiziaria, a operazioni estrapolative di dati informatici conservati nella memoria del telefono (segnatamente sms e messaggi whatsApp), costituisce, ormai, una pratica consolidata.

Sempre più frequentemente, infatti - soprattutto in occasione di un arresto o di una perquisizione - la polizia giudiziaria, nell'intento di acquisire quanti più elementi di prova a carico dell'indagato, sottopone a esame il telefono cellulare in uso a quest'ultimo, e, specificamente, la messaggistica scambiata tramite l'applicazione whatsApp.

Detta attività investigativa può estrinsecarsi in diversi modi:

  • attraverso la sottoposizione dello smartphone a sequestro probatorio, con successiva copiatura dei dati informatici ivi memorizzati;
  • attraverso la trascrizione del contenuto dei messaggi in una annotazione di p.g.;
  • attraverso la riproduzione fotografica della schermata del telefono dell'indagato nella quale compare il testo del messaggio che si intende acquisire

Quest'ultima modalità, attesa la praticità che la connota (solitamente la fotografia viene scattata da un altro smartphone, in uso agli operanti) costituisce quella più ricorrente.

Acquisizione messaggi WhatsApp: la decisione della Corte d'appello di Roma

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Proprio decidendo nell'ambito di una vicenda avente ad oggetto una siffatta acquisizione, una recente sentenza della Corte di Appello di Roma ne ha patrocinato l'utilizzabilità sulla base del rilievo che "non sussiste alcuna ipotesi di inutilizzabilità di tale analisi in relazione al disposto dell'art. 271 c.p.p., in quanto non si verte nell'ambito di un'attività di intercettazione necessitante dei presupposti di legittimità dettati dall'art. 268 c.p.p., ma in quello dell'esame dei dati già accumulati nell'hardware del dispositivo e la cui estrazione costituisce quindi il risultato di un'acquisizione probatoria di tipo atipico pienamente legittima in relazione ai parametri dettati dall'art. 189 c.p.p." (Corte di Appello di Roma, sent. n. 4052 del 13/04/2018).

Questa, dunque, l'argomentazione con la quale la Corte territoriale ha rigettato la specifica doglianza difensiva, tesa ad eccepire l'inutilizzabilità degli esiti della predetta operazione, avendo la polizia giudiziaria preso conoscenza di conversazioni o comunicazioni a carattere riservato, in violazione della disciplina degli artt. 266 - 271 c.p.p.

L'orientamento della giurisprudenza di legittimità

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L'orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito, di cui è esemplificativa la pronuncia della Corte di Appello di Roma sopra citata, ha ricevuto - purtroppo, a parere di chi scrive - l'autorevole avallo della Corte di Cassazione che, in diversi arresti recenti, premettendo la valutazione circa la riconducibilità dei dati informatici presenti sul telefono al paradigma dei documenti di cui all'art. 234 c.p.p., ha affermato che alcun preventivo decreto è necessario ai fini della loro acquisizione, atteso, in particolare, che "i testi dei messaggi WhatsApp non rientrano nel concetto di 'corrispondenza', la cui nozione implica un'attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito"(Cass., Sez V, n. 1822/18).

Ben si comprende, dunque, l'importanza delle ricadute che l'opzione esegetica patrocinata dalla Suprema Corte determina nella prassi giudiziaria, dove, già da anni, si registra una progressiva erosione delle garanzie difensive in materia di diritto alla riservatezza delle comunicazioni. Il riferimento è, appena il caso di precisarlo, alle registrazioni di colloqui avvenuti all'insaputa di uno degli interlocutori: la materia, inizialmente dibattuta, ha poi fatto registrare l'intervento delle Sezioni Unite che da un lato hanno confermato il carattere documentale delle registrazioni effettuate dal soggetto privato partecipe al colloquio, dall'altro hanno ritenuto inutilizzabile come prova la registrazione fonografica effettuata clandestinamente da personale di polizia giudiziaria e rappresentativa di colloqui intercorsi tra lo stesso ed i suoi confidenti o persone informate dei fatti o indagati, perché contrasta contro i divieti di cui agli artt. 62, comma 2, 191, 195, comma 4, 203 c.p.p. (Cass., Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 36743).

Il paragone con i tabulati telefonici

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L'incongruenza del trattamento giuridico riservato agli sms ed ai messaggi WhatsApp presenti sulla memoria del telefono - che, giova rammentarlo, stando agli itinerari argomentativi tracciati dalla giurisprudenza, sono liberamente acquisibili di iniziativa della polizia giudiziaria - balza agli occhi con evidenza sol che si consideri la ben diversa tutela di cui godono i tabulati telefonici.

Si intende, con tale locuzione, i dati esteriori delle telefonate, in particolare con quale utenza, quando, da dove e per quanto tempo è intercorso un colloquio da un certo telefono.

Ebbene, pur ritenendo che essi vanno considerati alla stregua di documenti, in quanto rappresentativi di fatti, secondo la tesi maggioritaria, che ha trovato l'avallo per due volte della Corte Costituzionale, "l'acquisizione dei cd. tabulati del traffico telefonico soggiace alla necessità della previa autorizzazione giudiziaria perché essi costituiscono la documentazione in forma intellegibile del flusso informatico relativo ai dati esterni al contenuto delle conversazioni" aggiungendo che "l'acquisizione del tabulato, rappresentando un momento del trattamento dei dati, non può che soggiacere alla stessa disciplina quanto a garanzie di segretezza e di libertà delle comunicazioni" (Cfr. Sez. Unite, n. 21 del 13/7/1998 (dep. 24/9/1998), Gallieri, Rv. 211197).

Attualmente, la materia in questione risulta regolamentata dal legislatore attraverso la legge sulla tutela della privacy (D.lg. n. 109/2008), che prevede che i dati del traffico telefonico possono essere conservati dal gestore per ventiquattro mesi dalla data di comunicazione e acquisiti attraverso un decreto motivato.

Non resta che auspicare, in conclusione, un mutamento dell'orientamento giurisprudenziale in senso più garantista anche con riferimento alla specifica materia oggetto della presente disamina, attesa l'importanza degli interessi in gioco.


Avv. Walter Marrocco

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