Per il principio di prevedibilità, l'ordinamento giuridico deve permettere ai consociati di agire consapevoli delle conseguenze penali delle loro azioni

Fonti del principio di prevedibilità

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Il principio di prevedibilità affonda le sue radici nell'art.7 della Cedu (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) ed a seguito sia dei degli interventi della giurisprudenza convenzionale che interna, ha acquisito una progressiva rilevanza anche nel nostro ordinamento.

Per quanto concerne il sistema giuridico nazionale il principio di prevedibilità, pur se non espressamente previsto da una norma, è correlato a una serie di disposizioni costituzionali e di legislazione primaria.

In tal senso strette connessioni sussistono in primo luogo con il principio di legalità di cui all'art. 25 comma 2 Cost., nonché con i suoi corollari di precisone, determinatezza, tassatività, irretroattività e divieto di analogia in "malam partem"; in secondo luogo con il principio di libertà personale costituzionalizzato all'art. 13; in terzo luogo con i principi di responsabilità della fattispecie penale e con il principio della finalità rieducativa della pena, di cui all'art. 27 comma 1 e 3 Cost.; in quarto luogo con il principio di colpevolezza sancito dalla nota sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale; in quinto luogo con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; infine la prevedibilità può essere altresì collegata al principio del legittimo affidamento riposto dal soggetto nei confronti della giustizia.

A livello legislativo è possibile richiamare gli artt. 1 e 2 c.p. relativi rispettivamente al principio di legalità e di irretroattività sfavorevole.

Principio di prevedibilità e caratteristiche della norma penale

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Il principio di prevedibilità della norma penale implica dunque la necessità che il soggetto possa prevedere le conseguenze della propria condotta antigiuridica, sia in termini di astratta conoscibilità del reato a cui andrebbe incontro, sia per quanto concerne il relativo trattamento sanzionatorio. Solo laddove la norma sia chiara, precisa, determinata ed applicabile ai casi strettamente disciplinati dalla legge è possibile orientare la propria condotta e dunque eventualmente risponderne in virtù della propria colpevolezza. Il diritto penale infatti incide sul bene supremo della libertà personale, valore che può essere limitato solo da puntuali disposizioni legislative, così da evitare anche eventuali arbitrii del giudice incidenti in termini di parità sostanziale e formale fra i soggetti.

Dunque il principio di prevedibilità investe tanto il legislatore in quanto titolare del potere di creazione delle norme, che il giudice nel momento di applicazione della disposizione nel caso concreto.

Tanto più la formulazione legislativa sarà chiara, precisa, puntuale e dettagliata tanto più l'intervento giurisprudenziale sarà agevole nonché di facile comprensione da parte del soggetto che sarà messo in condizioni di poter autodeterminare "ex ante" la propria condotta.

Ai fini di una migliore comprensione del principio di prevedibilità del nostro ordinamento, appare utile considerare che il diritto penale è un diritto frammentario, nel senso che "entra in gioco" solo laddove siano violati determinati beni di rilevanza costituzionale o con particolari modalità di aggressione.

Gli elementi delle norme giuridiche

Con specifico riguardo alla connessione del principio in esame con il principio di precisione, appare opportuno considerare che il legislatore nella formulazione della norma utilizza elementi di varia natura sia giuridica che extra-giuridica, e soffermarsi su come gli stessi possano influire in sede di applicazione giurisprudenziale.

In particolare è possibile suddividere tali elementi in rigidi, elastici, vaghi ed indeterminati.

  • Riguardo ai primi, ovvero agli elementi rigidi non sorgono particolari problematiche in quanto si tratta di elementi descrittivi di immediata e facile percezione per l'interprete come ad esempio il concetto d "uomo".
  • Quanto ai secondi, gli elementi elastici (la c.d. "zona grigia"), la giurisprudenza e la dottrina si sono spesso interrogate in ordine ad una eventuale lesione del principio di precisione come nel caso dell'espressione "giustificati motivi" o "senza necessità" o "in assenza di giustificato motivo". A tal proposito la Corte Costituzionale li ha considerati come dei veri e propri "organi respiratori", "valvole di sicurezza" per l'interprete che, se facilmente contestualizzabili nel caso concreto servono quindi a coadiuvare l'interprete nell'opera di sussunzione giurisprudenziale.
  • Riguardo agli ultimi, cioè agli elementi vaghi ed indeterminati come ad esempio "nel tempo di notte", si tratta di espressioni talmente incerte da non poter essere facilmente comprensibili e dunque generalmente violative del principio di precisione e del suo correlato principio di prevedibilità.

La Corte costituzionale sul principio di prevedibilità

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Appare utile in tal senso considerare i più importanti interventi della giurisprudenza interna sul tema che si sono susseguiti a partire dagli anni '80 fino ai giorni nostri.

Per quanto riguarda gli interventi della Corte Costituzionale, occorre menzionare la sentenza n. 86 del 1981 dove la Corte ha dichiarato incostituzionale l'art. 603 c.p. relativo al "plagio". Il Giudice delle leggi ha considerato "lo stato di soggezione" seppure astrattamente prevedibile, nel concreto di difficile verificazione e pertanto non rispondente ai dettami di cui all'art. 25 comma 2, Cost.

Diversamente nel 2014 il Giudice delle Leggi, sempre in relazione alla determinatezza ha deciso in questa occasione di "salvare" la fattispecie del reato di "stalking" o "atti persecutori" di cui all'art. 612 bis c.p. introdotto dal c.d. "Pacchetto Sicurezza "convertito in legge n. 38/2009. In questo caso la Corte Costituzionale ha statuito la non violazione del principio di determinatezza per diverse ragioni. In primo luogo perché i reati di minaccia o molestia richiamati dall'art. 612 bis c.p. possono essere desumibili dalle rispettive ipotesi di reato espressamente disciplinate dal codice; in secondo luogo perché il termine reiterazione è considerato dalla giurisprudenza in modo pacifico come relativo a due o più condotte che si susseguono in un determinato arco temporale; in terzo luogo perché le espressioni implicanti il "perdurante e grave stato di ansia o paura" e "il fondato timore" e le alterazioni delle proprie abitudini di vita possono essere ricondotte a rilevanti cambiamenti nello stile di vita ed ai comportamenti della vittima prima e dopo lo "stalking" avuto considerazione anche del contesto sociale e familiare di riferimento.

Con specifico riguardo al principio di tassatività, il Giudice delle Leggi nel 1980 ha considerato l'espressione "proclivi a delinquere" utilizzata in relazione alle misure di prevenzione personali come violative di tale principio in quanto non di chiara e determinata applicabilità. Nel 1996 analoga considerazione di illegittimità è stata espressa in relazione alle "cose di valore" di cui all'art. 708 c.p. considerate generiche e non suscettibili di univoca interpretazione.

Nel 2005, per le medesime considerazioni suesposte, è stato considerato dal Giudice delle Leggi illegittimo per difetto di tassatività altresì il termine "giustificati motivi" relativo all'ordine di espulsione dello straniero di cui all'art. 14 comma 5 ter, del D.Lgs. 286/1988.

Infine nel 2008 la Corte costituzionale in relazione al termine "altro disastro" di cui all'art. 434 c.p. ha statuito che tale espressione sia in linea con dettami costituzionali, in quanto fattispecie riconducibile ad altri disastri specifici ad es. ferroviario, aereo, navale, nonché dal pericolo per un numero indeterminato di persone.

La Corte di cassazione sul principio di prevedibilità

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Per quanto concerne invece la giurisprudenza di legittimità, tralasciando le recenti pronunce connesse a quelle della Corte Edu che saranno oggetto di specifica analisi successiva, giova ricordare che nel 2012 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine all'espressione "ingente quantità" di cui all'art. 80 del D.P.R n. 309/1990 in materia di stupefacenti.

Le Sezioni Unite in questione, cambiando orientamento rispetto alle Sezioni Unite del 2000 che ne avevano comunque salvato la legittimità, hanno affermato che l'ingente quantità sia desumibile non più dalla c.d. "piazza di spaccio" ovvero al valore dato dal mercato di riferimento, ma dalle relative tabelle ministeriali indicate nel medesimo D.P.R.

Se questo è l'"excursus" applicativo giurisprudenziale connesso al principio di prevedibilità all'interno dell'ordinamento nazionale, adesso è utile considerare il medesimo principio e le più rilevanti pronunce convenzionali alla luce della Corte Edu.

La prevedibilità nel diritto Cedu

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Come accennato, la prevedibilità in campo convenzionale trova la sua fonte normativa nell'art. 7 Cedu. Occorre da subito considerare che il principio di legalità convenzionale comprende, a differenza del nostro ordinamento, non solo la legge ma anche il diritto giurisprudenziale. Pertanto il principio in esame comprende un raggio d'azione più esteso rispetto al nostro ordinamento giuridico che non include l'interpretazione giurisprudenziale all'interno della legge. Inoltre per la concezione autonomistica del reato e delle pene operata dalla Corte Edu, che considera reato e pena un illecito prescindendo dalle qualificazioni nazionali e sulla base di propri criteri, la prevedibilità nella Corte Edu assume una rilevanza anche per quelle fattispecie considerate dalla stessa come sostanzialmente penali seppur di diversa qualificazione nel nostro ordinamento. Nella Corte Edu infatti ciò che conta è la qualità della legge, prescindendo da mere considerazioni formali.

Se dunque da un lato il principio di legalità e conseguentemente quello di precisione hanno una portata più ampia rispetto al nostro ordinamento, dall'altra parte risultano più stringenti in termini di precisione, chiarezza, determinatezza, accessibilità, calcolabilità ed anche prevedibilità, in quanto tali principi non investono solo la disposizione legislativa ma anche l'interpretazione giurisprudenziale.

Appare facilmente comprensibile quindi come il principio di prevedibilità operi in termini peculiari e non solo in relazione alle fattispecie qualificabili come penali dal nostro ordinamento nazionale.

La giurisprudenza Cedu

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Numerose sono state le sentenze della Corte Edu in tema di prevedibilità, prima fra tutte occorre menzionare la sentenza "Kokkinakins contro Grecia" del 25 marzo del 1993 dove la Corte di Strasburgo evidenzia la necessità di valorizzare il principio di prevedibilità inteso come fondamentale al fine di orientare in modo consapevole la condotta da parte dei consociati.

Parimenti devono altresì essere menzionate altre due pronunce che hanno operato nel senso di una autonoma qualificazione del principio in esame: la sentenza "Milazzo contro Italia" del 2000 e la pronuncia della Grande Camera della Corte Edu "Maestri contro Italia" del 2004.

Nonostante l'importanza riconosciuta a livello convenzionale e (anche nazionale) non esiste un criterio univoco riconducibile al principio di prevedibilità. La Corte Edu ha talvolta utilizzato il criterio oggettivo relativo alla necessità della chiarezza del diritto; altre volte ha utilizzato criteri più incerti come quello evolutivo, che tiene in considerazione l'evoluzione sociale data al disvalore della condotta; altre volte ha optato per il criterio soggettivo, relativo alle caratteristiche personali del soggetto e al dovere di conoscenza da parte di determinate categorie di consociati. D'altra parte anche la nostra giurisprudenza di legittimità nella recente sentenza "Genco" n.8544 del 2020 ha affermato, l'assenza di criteri certi relativi alla prevedibilità e la necessità di valutare profili specifici considerati di volta in volta nel caso concreto.

De Tommaso contro Italia

Per quanto concerne le fattispecie applicative convenzionali più importanti e avuto riguardo anche alle sue incidenze interne, meritano altresì considerazione tre particolari questioni giurisprudenziali.

In primo luogo occorre contemplare la sentenza della Corte Edu "De Tommaso contro Italia" del 2017 in tema di misure di prevenzione antimafia di cui al Dlgs. n. 159/2011.

La Corte Edu ha considerato le misure di prevenzione con particolare riguardo alla pericolosità generica eccessivamente vaghe ed indeterminate.In particolare le espressioni contenute nell'art. 8 del Dlgs. 159/2011 del "vivere onestamente" e di "rispettare le leggi" in relazione all'art. 75 del medesimo Dlgs. sulla sorveglianza speciale sono state considerate violative dell'art. 2 protocollo n. 4 Cedu relativo alla libertà di circolazione, nonché dell'art. 7 Cedu.

Nello stesso senso si sono espresse le note Sezioni Unite n. 40076 del 2017 "Paternò", che hanno statuito che tali espressioni devono essere considerate illegittime per lesione del principio di legalità di cui all'art. 25 comma 2, Cost. nonché per i suoi corollari di determinatezza, precisione e tassatività. Le medesime Sezioni Unite hanno altresì sollecitato l'intervento della Corte Costituzionale che nel 2019 ha considerato per gli stessi motivi espressi dalla Corte di legittimità, l'art. 75 comma 2 Cost. incostituzionale nella parte in cui prevede come delitto l'inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di divieto di soggiorno ove consistente nel "vivere onestamente e di "rispettare le leggi"; nonché dell'art. 75 comma 1 nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione inerente la sorveglianza speciale consistente nella violazione del "vivere onestamente" e del "rispettare le leggi".

Contrada contro Italia

Merita altresì di essere rammentata, in ordine al principio di prevedibilità e irretroattività, la pronuncia della Corte Edu del 15 aprile del 2015 sul noto caso "Contrada contro Italia" avente ad oggetto il "concorso esterno in associazione mafiosa" di cui all'art. 416 bis c.p.

Il caso riguarda l'imputazione al "Contrada" di fatti commessi tra il 1978 e il 1988 a titolo di concorso esterno. La Corte Edu ha considerato l'illegittimità dell'imputazione per violazione dell'art. 7 Cedu in termini di legalità, prevedibilità, accessibilità e precisione adducendo che, nel periodo di commissione degli stessi, il concorso esterno non era un reato considerato di prevedibile applicazione. La Corte Edu statuisce che si tratta di un reato di creazione giurisprudenziale operato solo a seguito della nota sentenza delle Sezioni Unite "Demitry" del 5 ottobre n. 16 del 1994, quindi solo dopo la commissione dei fatti imputabili al Contrada; in quanto prima del '94 le pronunce della giurisprudenza di legittimità non erano pacifiche in ordine alla sua qualificazione.

Tale soluzione non è stata ben accolta dalla nostra giurisprudenza di legittimità. Da un parte, infatti, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18132 del 2016 ha affermato che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato di creazione giurisprudenziale ma trova la sua fonte normativa nel combinato disposto degli artt. 110 e 418 comma 1 c.p. Altra parte della giurisprudenza di legittimità, in particolare la Cass. N. 27308 ric. "Dell'Utri" del 2019, ha invece statuito che già prima del 1994 il concorso esterno era un reato considerato pacificamente tale dalla giurisprudenza di legittimità, essendoci pochissime pronunce di segno contrario in merito.

Da ultimo, per completezza espositiva appare utile evidenziare che le Sezioni Unite Penali "Genco" n. 8544 del 2020 si sono interrogate sulla possibilità di estendere la sentenza della Corte Edu "Contrada" ai c.c.d.d. "fratelli minori" e cioè a coloro che versavano nella medesima situazione del Contrada ma non riconducibili al processo. La Corte di Legittimità si è espressa in senso negativo, in quanto la sentenza della Corte di Strasburgo non può essere considerata una "sentenza pilota" ed è pertanto valida solo in relazione a quello specifico caso.

La cd. saga Taricco

Infine sempre con riguardo al principio di prevedibilità ma in ambito comunitario, appare utile citare le sentenze della Corte di Giustizia, sulla c.d. "saga Taricco" nonché le pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale intervenute in merito.

La vicenda ha origine l'8 settembre del 2015, quando la Corte Edu, nella prima sentenza "Taricco", si è pronunciata riguardo alla disapplicazione della nostra normativa interna della prescrizione di cui agli artt. 160 e 161 c.p.p. in quanto ostative dell'art. 325 T.F.U.E. in tema di riscossione dei tributi finanziari.

Tale pronuncia suscitò da subito notevoli perplessità all'interno del nostro ordinamento sia in termini di legalità di cui all'art. 25 comma 2 Cost., che sui suoi corollari di determinatezza, tassatività, precisione, e irretroattività sfavorevole. La prescrizione nell'ordinamento italiano è infatti considerata un istituto di natura sostanziale e non processuale come nel sistema unionale o in altri ordinamenti, e si applicano pertanto le garanzie in termini di legalità di cui all'art. 25 comma 2 Cost. e di irretroattività sfavorevole ex artt. 1 e 2 c.p.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n.212/2016, sulla base delle suesposte perplessità ha sollecitato l'intervento della Corte Costituzionale. Il Giudice delle Leggi, nella prospettiva del c.d. "dialogo fra Corti" nella sentenza. 24 del 2017 ha deciso di esporre le implicazioni in termini di legalità alla Corte di Giustizia U.E. che sarebbero conseguite a seguito della disapplicazione delle norme di cui all'art. 160 e 161 c.p.

La Corte di giustizia, investita della questione, nella sentenza "Taricco bis" del 5 dicembre del 2017 ha risposto statuendo che la c.d. "regola Taricco" si sarebbe dovuta applicare ai casi seguenti all'8 settembre del 2015, ed affidando per i casi seguenti al giudice il dovere di disapplicarla tutte le volte in cui risulti lesiva del principio di legalità come qualificato dall'ordinamento italiano.

La Corte Costituzionale con la nota pronuncia n. 115 del 2018, valorizzando i c.c.d.d. "controlimiti", si espressa nel senso della disapplicazione totale della "regola Taricco" in quanto lesiva di principi fondamentali della Costituzione, primi fra tutti quello di legalità, nonché dei suoi corollari e quindi anche di prevedibilità. Secondo la Corte non può infatti essere affidato al giudice un tale compito nel nostro ordinamento, in quanto comporterebbe oltre alla violazione dei principi suesposti, inevitabili ricadute in termini di conoscibilità ex ante da parte dei consociati di ciò che sia o meno considerato lecito, e quindi anche evidenti disparità di trattamento sanzionatorio.

La sempre maggiore importanza della prevedibilità

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Per concludere, appare facilmente comprensibile come il principio di legalità abbia acquisito nel tempo una importanza sempre maggiore sia all'interno del nostro ordinamento che a livello sovranazionale e soprattutto convenzionale, dove ha una valenza più ampia e allo stesso tempo più pregnante.

Da parte di autorevole dottrina non sono infatti mancate critiche nei confronti della configurazione che tale principio ha assunto negli ultimi anni soprattutto in campo convenzionale. Secondo parte della stessa, si sarebbe di fronte ad una vera e propria "surrogazione" del principio di prevedibilità con quello di tipicità; secondo altri la progressiva "erosione del principio di legalità" ha comportato una vera e propria sostituzione del giudice alla legge.



di: Deborah Quattrone, cel: 3890616147, email: quattronedeborah@gmail.com



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