Per la Suprema Corte, l'attività di consulenza in sè, tradottasi nel consigliare un determinato inquadramento contrattuale anzichè un altro, non è riservata ai consulenti del lavoro iscritti all'albo

Attività riservate ai consulenti del lavoro iscritti all'albo

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Rientra tra le attività riservate al consulente del lavoro iscritto all'albo quella connessa al compimento degli adempimenti relativi al personale dipendente: ma con ciò non si intende ogni attività a qualsiasi titolo collegata alla stessa esistenza di uno o più rapporti di lavoro con dipendenti, bensì l'espletamento degli adempimenti di natura fiscale o previdenziale, in cui il consulente abilitato, su delega del cliente, opera come sostituto del datore di lavoro.

Non rientra nell'attività riservata ai professionisti iscritti, dunque, quella di consulenza in sé che si traduce nel consigliare un determinato inquadramento contrattuale, anziché un altro, e nel fornire all'impresa che lo richiedeva uno schema contrattuale utilizzabile.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza 14247/2020 (sotto allegata) accogliendo il ricorso di una società che aveva convenuto in giudizio uno studio di consulenza in materia fiscale e del lavoro e il ragioniere commercialista, socio illimitatamente responsabile, chiedendo fosse riconosciuta la loro responsabilità professionale.

Consiglio sull'inquadramento contrattuale

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La società si era rivolta allo studio per chiedere in che modo avrebbe potuto proseguire la collaborazione con due suoi ex dipendenti in forma autonoma. Quest'ultima aveva consigliato l'inquadramento nel contratto a progetto, fornendo poi lo schema contrattuale che era stato effettivamente e ritenuto poi inadeguato dalla Direzione provinciale del lavoro che aveva fatto scattare delle sanzioni.

La domanda, accolta in prime cure, veniva respinta dalla Corte d'Appello che dichiarava nullo del rapporto contrattuale intercorso tra le parti, perché relativo a un'attività (quella di consulenza e predisposizione dei contratti) riservata ai soli professionisti, consulenti del lavoro, iscritti nell'apposito albo e disciplinata dalla legge n. 12 del 1979. Per questo veniva esclusa la responsabilità dello studio, convenuto in giudizio esclusivamente in quanto contrattualmente responsabile.

Secondo la società, invece, la legge in oggetto non conterrebbe alcun riferimento all'attività di consulenza, in quanto gli "adempimenti" riservati alla categoria protetta sarebbero solo quelle attività di carattere esecutivo e/o formale.

Consulenza del lavoro: le attività riservate per legge

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Gli Ermellini rammentano come sia la legge a determinare le professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c.), pertanto appare "inesatto e del tutto generico affermare che, in generale, l'attività di consulenza aziendale sia riservata ai professionisti iscritti in specifici albi".

Al contrario, la Corte rammenta che nelle materie commerciali, economiche, finanziarie e di ragioneria, le prestazioni di assistenza o consulenza aziendale non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commercialisti, non rientrando fra le attività che possono essere svolte esclusivamente da soggetti iscritti ad apposito albo professionale o provvisti di specifica abilitazione (cfr. Cass. n. 15330/2008 e Cass. n. 8683/2019).

La finalità di prevedere che alcune attività siano riservate ai professionisti iscritti è quindi quella di rafforzare la tutela del privato che si avvale di un professionista, e di garantire indirettamente una maggiore professionalità nella gestione degli aspetti più delicati di ogni attività.

Nel caso in esame, si tratta di attività svolta da una società di consulenza in materia lavoristica e le attività riservate ai soli professionisti iscritti sono, nel caso di specie, quelle individuate dalla legge n. 12 del 1979.

Espletamento di un adempimento

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Dalla lettura delle norme si ricava che è attività riservata al consulente iscritto all'albo, che ne risponde personalmente, quella connessa al compimento degli adempimenti relativi al personale dipendente, con ciò dovendosi intendere non ogni attività a qualsiasi titolo collegata alla stessa esistenza, in capo al cliente che si rivolge ad una struttura che svolge attività di consulenza sul lavoro, di uno o più rapporti di lavoro con dipendenti, ma l'espletamento degli adempimenti di natura fiscale o previdenziale, in cui il consulente abilitato, su delega del cliente, opera come sostituto del datore di lavoro.

Non rientra nella nozione di espletamento di un "adempimento", viceversa, e quindi nell'attività riservata ai professionisti iscritti, l'attività di consulenza in sé, alla quale è riconducibile quella svolta nel caso di specie, che si è tradotta nel consigliare un determinato inquadramento contrattuale, piuttosto che un altro, e nel fornire all'impresa che lo richiedeva uno schema contrattuale utilizzabile.

Da qui l'enunciazione del seguente principio di diritto: "In conformità al principio della libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, non costituisce una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale riservata a chi è iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge e quindi nulla se svolta da soggetto non abilitato l'attività che si sia tradotta nel consigliare al cliente l'adozione di un determinato inquadramento contrattuale per i propri collaboratori, e la predisposizione del relativo schema di contratto, svolta da una società di consulenza del lavoro, non rientrando tali attività tra gli adempimenti che la legge n. 12 del 1979 riserva ai consulenti del lavoro iscritti all'albo".

Scarica pdf Cassazione Civile, sentenza n. 14247/2020

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