L'emergenza ha spinto al ricorso della tecnologia, favorendo una svolta digitale in altri tempi insperata ma "remotizzare" l'intero sistema giudiziario è impossibile
di Emanuela Coronica - L'emergenza Coronavirus, ha costretto pubblica amministrazione ed imprese ad un salto tecnologico di almeno dieci anni. In passato, si è parlato di digitalizzazione fin troppe volte ma incertezze e titubanze hanno sempre avuto la meglio sulla realizzazione di un processo che, in realtà, non è mai partito.

La scoperta dello smart working

Di colpo, il balbettio di un Paese per troppo tempo rimasto sordo dinanzi ai vantaggi offerti dalla rete, considerata secondaria rispetto a tutto il resto, si è trasformato in un imperativo categorico di fronte ad un nemico sconosciuto e beffardo.

Così, l'Italia ha scoperto lo smart working e anche ora che il governo si accinge ad adottare nuove misure per la fase 2, il lavoro in modalità agile continuerà ad essere una certezza per pubblica amministrazione ed imprese.

Nella giustizia, lo smart working ha creato logiche organizzative replicabili su tutto il territorio nazionale. La risposta è stata buona ma la sospensione delle udienze disposta dal DL 11/2020 fino al 22 marzo, termine prorogato al 15 aprile dal decreto Cura Italia e, infine, esteso al prossimo 11 maggio dal decreto Liquidità, di fatto, ha determinato, la paralisi di ogni attività giudiziaria ed amministrativa.

I penalisti chiedono garanzie

In vista di una probabile ripartenza, sono soprattutto gli avvocati penalisti a chiedere garanzie per la ripresa delle attività.

La necessità è quella di salvaguardare la giurisdizione ma, al tempo stesso, cercare il giusto equilibrio fra la salute e la sicurezza di operatori della giustizia e cittadini con regole in grado di assicurare diritti e garanzie, non comprimibili nemmeno in una fase di emergenza come quella attuale.

A preoccupare sono anche le difficoltà per il personale delle cancellerie che, operando in modalità smart working, non è in grado di adempiere a determinati atti.

Le forme di lavoro agile, infatti, non consentono il collegamento da remoto ai registri informatici se non dai dispositivi presenti nel medesimo ufficio e, pertanto, i dipendenti non sono messi nelle condizioni di eseguire le ordinarie mansioni a loro attribuite e di espletare gli adempimenti necessari alla continuità del servizio.

Il risultato è che la paralisi giudiziaria di queste settimane costerà molto cara al nostro Paese e la risposta che il sistema giudiziario potrà dare sarà insufficiente.

La sospensione dell'attività giudiziaria richiederà una calendarizzazione di tutte le udienze rinviate ma rallenterà la risposta a quella domanda di giustizia che dovrebbe essere rapida e tempestiva.

Accumulo dell'arretrato

L'immediata conseguenza di quest'impasse si sta già manifestando ed è l'aumento dell'accumulo di cause e sentenze che renderà ancora più difficile l'esercizio giurisdizionale generando ulteriori disparità.

Nel dibattito di questi giorni sulla giustizia 2.0, si continua a discutere di processi da remoto e digitalizzazione ma, ancora una volta, ci si dimentica che le vere fondamenta del sistema giudiziario sono le risorse umane che da sempre, e soprattutto in questa fase emergenziale, permettono alla macchina giudiziaria di restare in piedi.

La giustizia merita un'attenzione specifica poiché riguarda i diritti delle persone nonché la possibilità di vedere garantita la certezza del diritto e l'emergenza Covid ha evidenziato ulteriormente le inefficienze del comparto a cominciare dalle gravi carenze negli organici.

La crisi ha spinto al ricorso della tecnologia, favorendo una svolta digitale in altri tempi insperata e ogni ufficio giudiziario, con i suoi tempi e con le sue risorse, ha adottato gli opportuni provvedimenti ma la sospensione ha ridotto al minimo l'attività degli uffici e il ritorno normalità è molto lontano, c'è ancora molto da fare e la ripresa sarà graduale e complessa.

Rivoluzione digitale ma soprattutto assunzioni

La giustizia ha bisogno di una rivoluzione digitale e di informatizzare i suoi uffici ma, più in generale, necessita di una riforma strutturale, complessiva e che tenga conto del contributo fondamentale delle risorse umane.

Certamente sarà necessario fare dell'utilizzo della tecnologia una regola ma tutto ciò non potrà essere attuato senza una totale riorganizzazione degli uffici giudiziari attraverso le opportune assunzioni di personale qualificato specie nell'utilizzo delle strumentazioni telematiche.

Di riformare la giustizia se ne parlava anche prima che il Coronavirus resettasse la tradizionale quotidianità di ognuno e, ora più che mai, diventa ancora più indispensabile pensare ad una ridefinizione dell'intero sistema giudiziario.

La fase della ripresa dovrebbe coincidere con l'opportunità di riorganizzare completamente il sistema giudiziario, partendo dalle fondamenta e cioè da nuove assunzioni di personale in grado di attuare il processo di digitalizzazione di cui si parla da tempo.

L'emergenza di queste settimane, per quanto orribile e surreale, ci sta dando la possibilità di pensare ad una società migliore.

L'auspicio è che la pandemia in atto costituisca, almeno, l'occasione per riorganizzare e ridefinire tutti i settori strategici della nostra economia di cui la giustizia è un pilastro fondamentale.


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