Per il Consiglio di Stato, un comportamento illecito isolato, commesso da un militare e costituente reato, non giustifica sempre misure disciplinari estintive del rapporto di lavoro
Avv. Francesco Pandolfi - Si parla, ancora una volta, della sanzione della perdita del grado per rimozione del militare.

Ebbene: l'esercizio del potere discrezionale da parte dell'amministrazione militare, che deve decidere sulla sanzione da applicare al caso concreto, trova un limite nel momento in cui la decisione amministrativa è palesemente sproporzionata rispetto al fatto commesso dal dipendente.

Discrezionalità amministrativa

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Questo potere discrezionale, in pratica, deve sempre rispondere all'esigenza primaria di evitare che determinati fatti siano assoggettati alla stessa punizione che viene riservata ad altri e diversi fatti.

In sostanza, deve esistere sempre una proporzione tra la sanzione da applicare e il fatto commesso.

La sentenza 1134/2020 del Consiglio di Stato

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I Giudici amministrativi di appello conoscono bene questo principio di equità, logicità, ragionevolezza e proporzione; la sentenza della 4 Sezione del Consiglio di Stato n. 1134/2020 ne è un esempio.

Come, del resto, era stato un buon esempio la sentenza di primo grado (Tar Salerno, n. 1148/15) che ha preceduto la seconda pronuncia.

Nel caso specifico, un maresciallo della Guardia di Finanza molti anni addietro era rimasto coinvolto in un unico episodio corruttivo (con fatto inizialmente contestato in sede penale come corruzione, poi riqualificato).

Ora, rispetto al giudizio di non meritevolezza a conservare il grado espresso dalla Commissione di disciplina, aveva appunto ricevuto la sanzione disciplinare della perdita del grado, con messa a disposizione del distretto militare di appartenenza come soldato semplice.

L'epilogo del processo amministrativo

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Nel provvedimento amministrativo i fatti contestati erano stati ritenuti provati, argomentando direttamente dalla sentenza penale di non luogo a procedere, ritenendo l'amministrazione che essi fossero di una gravità tale da non consentire la permanenza nel Corpo dell'interessato.

La Magistratura amministrativa la pensa, però, diversamente.

In sostanza, il Supremo Consesso ha ritenuto obbligata una motivazione in grado di spiegare perché un solo fatto isolato, sia pur penalmente rilevante, possa essere considerato così grave da palesare l'assenza delle doti morali necessarie per proseguire l'attività lavorativa.

Cosa che, nel caso esaminato, non si era verificata, non avendo l'amministrazione valorizzato i precedenti di carriera del militare, oltre all'unicità dell'episodio in commento e al fatto che, anche dopo la vicenda, egli aveva mantenuto un comportamento ineccepibile.

In definitiva: l'appello del Ministero dell'economia e delle finanze è stato respinto.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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