Per il Tribunale di Genova il debitore che insiste a presentare un piano non attestabile non può poi far ricadere la responsabilità della mancata esdebitazione al professionista gestore della crisi

di Lucia Izzo - Non sempre ricorrere alla procedura di sovraindebitamento può rivelarsi vantaggioso per il debitore se ciò non avviene in maniera appropriata. Ne sa qualcosa la signora che, per tentare a ogni costo di non perdere l'immobile esecutato, ha presentato un piano, pacificamente non attestabile, come evidenziatole dal commercialista, e poi cercato invano di far ricadere la responsabilità della mancata esdebitazione in capo al professionista gestore della crisi.


La sua richiesta non solo viene respinta, ma comporta che la debitrice debba anche rifondere le spese legali al professionista e alla compagnia di assicurazione chiamata in causa.

Tanto si desume dalla sentenza n. 273/2020 (qui sotto allegata) con cui il Tribunale di Genova, seconda sezione civile, si è pronunciato sull'istanza di risarcimento danni avanzata da una debitrice nei confronti del professionista nominato come facente funzioni di organismo di composizione della crisi di cui alla legge n. 3/2012.

Sovraindebitamento ed espropriazione immobiliare

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La vicenda ruota intorno a due distinte procedure, quella di composizione della crisi da sovraindebitamento da un lato, ed esecutiva di espropriazione immobiliare già pendente dall'altro. La debitrice, per evitare di perdere l'immobile sottoposto a esecuzione forzata, aveva dapprima presentato proposta di piano del consumatore e in seguito presentato istanza di liquidazione del patrimonio.

Tramite il deposito della prima istanza per la presentazione del piano del consumatore, e quindi diretta alla nomina del professionista, la parte istante intendeva evitare a tutti i costi la liquidazione dell'immobile (già avviata tramite esecuzione individuale promossa dal creditore fondiario).

Tuttavia, la proposta di piano presentata al professionista veniva dichiarata inammissibile, in quanto non attestabile. Si trattava, in particolare, di un piano richiesto con termini e modalità contra legem, in quanto prevedeva di non liquidare l'immobile, e di pagare il creditore ipotecario con rate superiori al termine massimo previsto.

Nel frattempo l'esecuzione immobiliare (procedura totalmente autonoma rispetto a quella di composizione della crisi) era proseguita legittimamente sino a giungere alla vendita all'asta dell'immobile.

La posizione del professionista

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Quanto alla natura giuridica del professionista nominato come facente funzioni di OCC, si ritiene che tale figura professionale sia riconducibile a quella del professionista:

- che presta opera di consulente del debitore, sia pure non esclusivo;

- attestatore fidefacente a tutela dei creditori;

- ausiliario del giudice;

- mandatario in rem propriam dei creditori.

La responsabilità del professionista nominato è pertanto inquadrabile nell'ambito della disciplina del contratto di prestazione d'opera intellettuale di cui all'art. 2230 c.c. e, a tutela di eventuali danneggiati, la legge prevede che il professionista stipuli adeguata polizza assicurativa.

Nel caso in esame si ritiene che il risultato perseguito con le istanze sia stato vanificato per fatto addebitabile esclusivamente alla parte attrice e non si ritiene esservi stata una omissione professionale da parte del commercialista convenuto, da porre in nesso di causa con la lamentata "mancata esdebitazione".

Il giudizio

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Nel piano del consumatore, spiega il giudicante, diversamente da quanto accade nella procedura di accordo di composizione della crisi, non esiste un divieto generale e automatico di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni del sovraindebitato. Quest'ultimo, infatti, sarà legittimato a chiedere al giudice la sospensione di determinate esecuzioni già esistenti, individuandole specificamente nel ricorso.

Come emerge dagli atti allegati della procedura di espropriazione, pendendo istanza di sospensione della procedura esecutiva e opposizione alla esecuzione (su cui evidentemente il commercialista non aveva alcun potere di intervento), la debitrice provava fino all'ultimo a non ricorrere alla procedura di liquidazione di cui alla legge n. 3/2012.

Solo a termine scaduto fissato per la presentazione del piano, pacificamente non attestabile, veniva prospettata la alternativa della richiesta di liquidazione, strumentale alla concomitante richiesta di sospensione dell'esecuzione, e formalizzata e comunicata al commercialista solo ad avvenuto rigetto della richiesta di sospensione dell'esecuzione. Contemporaneamente interveniva declaratoria di inammissibilità della proposta di piano originaria.

Piano non attestabile

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In sostanza, fino all'ultimo momento, la parte debitrice tentava di proporre un piano che le consentisse di raggiungere un accordo separato con la banca, con pagamento rateale, evitando la vendita all'asta dell'immobile.

A fronte del diniego della banca, il piano veniva presentato nonostante il commercialista ne facesse presente chiaramente la non attestabilità, suggerendo sin da subito l'alternativa del piano di liquidazione del patrimonio.

Poiché la mancata attestabilità della proposta di piano, così come formulata dalla debitrice, risultava fin da subito esplicitata, si ritiene non sussistano profili di negligenza/omissione in capo al professionista, e che le vicende che hanno determinato l'espropriazione immobiliare siano del tutto svincolate dalla attività svolta dal professionista nell'ambito della procedura di risoluzione della crisi da sovraindebitamento.

Sospensione dell'esecuzione

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Peraltro, in ordine al rapporto con la procedura di esecuzione pendente, il Tribunale evidenzia come fino all'apertura della procedura (mai avvenuta per non attestabilità del piano) nessun provvedimento di sospensione dell'esecuzione avrebbe potuto essere adottato dal G.D., e analogo provvedimento di rigetto della sospensione era adottato anche dal G.E.

Alla medesima conclusione deve pervenirsi con riguardo alla proposta richiesta di procedura di liquidazione, anch'essa insufficiente a bloccare l'esecuzione individuale promossa dal creditore fondiario, nella quale era già intervenuta la aggiudicazione.

L'esito della eventuale esdebitazione successiva alla liquidazione del patrimonio era quindi ininfluente sugli atti già compiuti nella procedura esecutiva. Dal rigetto della domanda di risarcimento derivano conseguenze pesanti per la debitrice che si vede condannata a rifondere le spese processuali al professionista e agli assicuratori chiamati in causa (per oltre 8mila euro a cui si aggiungono rimborso spese, IVA e CPA).

Scarica pdf Tribunale di Genova, sent. 273/2020

Foto: 123rf.com
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