Cos'è il principio di ultrattività del rito, cosa comporta e chi è l'unico soggetto capace di superarlo. Ecco cosa c'è da sapere e la giurisprudenza

di Valeria Zeppilli - L'ultrattività del rito è un principio generale, di matrice giurisprudenziale, in forza del quale il giudizio di impugnazione deve essere sempre introdotto seguendo il rito che è stato adottato nel primo grado di giudizio.

Rito errato

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Tale principio non trova alcun limite nella circostanza che il rito che è stato adottato nel giudizio di primo grado, in base alla legge vigente, non sia quello da adottare e, quindi, risulti errato.

Vige, infatti, il principio dell'apparenza, in forza del quale deve presumersi che il rito che è stato adottato dal giudice di primo grado sia quello conforme alla legge.

Solo il giudice può mutare rito

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In ogni caso, pur se le parti non possono mutare il rito, a ciò può comunque provvedere il giudice dell'impugnazione, che è l'unico soggetto al quale è concessa tale facoltà.

A tale proposito si veda, ad esempio, quanto previsto dall'articolo 439 c.p.c., in forza del quale, in merito alle controversie in materia di lavoro, "La Corte di appello, se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degli articoli 426 e 427".

Tempestività dell'appello

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Il principio di ultrattività del rito rende necessarie alcune precisazioni circa la tempestività dell'impugnazione.

In particolare, l'appello che sia stato introdotto con atto di citazione ma che, in forza del principio di ultrattività, avrebbe dovuto essere introdotto con ricorso deve ritenersi tempestivo se, entro il termine di legge, si sia provveduto all'iscrizione a ruolo (e non necessariamente alla notifica).

Allo stesso modo va trattata l'ipotesi inversa: quando un'impugnazione che andava introdotta con citazione in forza del principio in esame è stata invece proposta con ricorso, la stessa deve ritenersi tempestiva se entro i termini di legge si è provveduto alla notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza.

Ultrattività del rito nella giurisprudenza

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Si è detto che il principio di ultrattività del rito è un principio di matrice giurisprudenziale.

Vediamo, quindi, cosa ha detto la Corte di cassazione in alcune delle sue più rilevanti pronunce sull'argomento:

Cassazione n. 21632/2019

Il principio dell'ultrattività del rito quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è stato erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (cfr. Cass., n. 210/2019; n. 20705/2018; n. 15897/2014; n. 682/2005). Pretendere che la parte che intenda appellare debba proporre l'impugnazione adottando un rito diverso da quello con cui si è svolto il giudizio di primo grado, non solo attribuirebbe ad essa un potere di mutamento del rito che le non compete, ma si porrebbe in contrasto col principio costituzionale del "giusto processo" e con la tutela dell'affidamento della parte nelle regole del processo.

Cassazione n. 26136/2017

Il principio c.d. della ultrattività del rito comporta, invero, come, ai fini della scelta delle forme e del mezzo di impugnazione, valga il rito adottato dal giudice per pronunziare la sentenza che si intende impugnare: a fronte dell'individuazione della natura della controversia e quindi del rito da parte di un organo giudiziario, non si giustificherebbe rimettere all'appellante la scelta della corretta forma del gravame; inoltre, poiché il rito, in senso ampio, attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado, ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle impostegli dal rito, con cui è stata emessa la sentenza, significherebbe attribuire al soggetto impugnante una facoltà di mutamento del rito; è, pertanto, solo il giudice dell'impugnazione, anche a garanzia delle controparti, che ha eventualmente il potere di rettificazione del rito, con possibilità del passaggio al rito speciale o viceversa.

Cassazione n. 12990/2010

In tema di impugnazioni, alla luce del principio di ultrattività del rito, la proposizione dell'appello deve conformarsi alle forme del rito seguito in primo grado. Ne consegue che, in controversia trattata con il rito del lavoro, l'inammissibilità dell'impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell'art. 434, secondo comma, cod. proc. civ. e, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all'art. 327, primo comma, stesso codice, non trova deroga con riguardo all'ipotesi in cui l'appello sia stato irritualmente proposto nella forma della citazione, ancorché questa sia suscettibile di convalidazione a norma dell'art. 156, ultimo comma cod. proc. civ., trattandosi di inosservanza di un adempimento prescritto a pena di decadenza, dal quale deriva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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