Per la Cassazione, a fondare il risarcimento non bastano quei disagi, fastidi e disappunti che ogni persona è tenuta a sopportare con un minimo grado di tolleranza

di Lucia Izzo - Una quotidiana lotta con disservizi e ritardi dei treni, con vagoni sovraffollati, condizioni igieniche precarie e posti a sedere inesistenti. Si tratta della situazione drammatica che si vedono costretti ad affrontare ogni giorno molti pendolari italiani nel tragitto da casa a lavoro, e non solo.


Ma si tratta di un quadro sufficientemente intollerabile per richiedere all'azienda di trasporto ferroviario il risarcimento del danno esistenziale causato dallo stress a cui si è sottoposti? Secondo la Corte di Cassazione, per ottenere il risarcimento non basta provare i disservizi del sistema ferroviario, che certo integra l'inadempimento del vettore: data tale premessa, l'attore è tenuto a dimostrare che i disservizi hanno inciso in senso negativo nella sua sfera di vita, alterandone e sconvolgendone l'equilibrio e le abitudini di vita.


La tutela risarcitoria del danno non patrimoniale è riconosciuta, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona e non per quei fastidi, disagi, disappunti, ansie che ogni persona inserita in un contesto sociale deve accettare con "un grado minimo di tolleranza", in virtù del dovere di convivenza.


Tanto emerge dalla sentenza n. 3720/2019 (qui sotto allegata) con cui gli Ermellini si sono pronunciati sul ricorso di un pendolare che aveva convenuto in giudizio l'azienda di trasporti chiedendo un risarcimento per tutti i danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali occorsigli.

Il caso

Il quadro descritto dall'attore appare comune a quello di molti altri pendolari come lui: premessa la necessità di dover utilizzare quotidianamente il treno per raggiungere il proprio studio in un'altra città, l'attore lamentava un peggioramento della sua vita a causa della sistematicità dei ritardi, delle precarie condizioni igieniche dei vagoni, del sovraffollamento e delle difficoltà di trovare posto a sedere.


Ancora, sottolineava la significativa perdita di tempo, la necessità di dover organizzare la propria giornata tenendo conto dell'eventualità di ritardi, con conseguente stanchezza cronica, ansia e stress, per il tempo sottratto alla famiglia e al riposo. Una situazione che aveva prodotto una modificazione esistenziale negativa rispetto ad aspettative e valori della persona costituzionalmente protetti.


La domanda, accolta in primo grado, veniva tuttavia respinta in appello sul presupposto che il pendolare non aveva dimostrato, e neppure allegato, il presupposto della gravità dell'offesa, necessario al fine di ritenere risarcibile il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente qualificato.

In sostanza, secondo il Tribunale, ai fini del riconoscimento del danno esistenziale, non sarebbe stato sufficiente provare i disservizi del sistema ferroviario, che integra l'inadempimento del vettore, ma sarebbe stato onere dell'attore, dimostrata questa premessa, provare che tali disservizi avevano inciso in senso negativo nella sua sfera di vita, alterandone e sconvolgendone l'equilibrio e le abitudini di vita.

Stress da pendolarismo: quando è possibile il risarcimento?

Nel pronunciarsi sul ricorso del pendolare, la Corte di Cassazione non sembra negare integralmente la possibilità del risarcimento del "danno da stress", tuttavia perimetra in maniera puntuale e rigorosa i casi in cui tale risarcimento sarebbe in ipotesi ammissibile, ovvero quando la tolleranza supera un certo limite.


La Corte richiama il dictum delle Sezioni Unite, sentenza n. 26972/2008, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona.


Inoltre, per quanto rileva nella vicenda in esame, il Supremo Consesso ha precisato che "sono palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale" e che ogni persona, inserita nel complesso sociale, deve accettare, in virtù del dovere di convivenza, "un grado minimo di tolleranza".

Pregiudizio esistenziale risarcibile solo se supera una soglia di sufficiente gravità

Un risarcimento, dunque, sarebbe in ipotesi ammissibile solo qualora sia dimostrato che il pregiudizio esistenziale abbia superato "quella soglia di sufficiente gravità e compromissione dei diritti lesi, individuata in via interpretativa, dalle Sezioni Unite del 2008, quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale".


Ciò non è avvenuto nel caso di specie, non avendo il pendolare fornito adeguata dimostrazione del pregiudizio subito a causa dei disservizi, tale da aver inciso sulla sua persona e sulle relazioni determinando una grave lesione dei suoi diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.


Anzi, al massimo, dalle richieste istruttorie articolate (peraltro non ammesse) si sarebbe potuta evincere l'esistenza dei disservizi, ma non certo le conseguenze degli stessi sulla persona dell'attore e sulle sue relazioni sociali.


La Cassazione rammenta, infine, che nella responsabilità contrattuale, non diversamente dalla responsabilità aquiliana, spetta al danneggiato fornire la prova sia del pregiudizio incidente nella sfera patrimoniale e non patrimoniale del contraente danneggiato, sia la sua entità.

Scarica pdf Cass., III civ., sent. 3720/2019

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