Per la Suprema Corte si tratta di una sanzione amministrativa con funzione ripristinatoria non assoggettata alla prescrizione ex art.173 c.p. né a quella ex art. 28 L. n. 689/1981

di Lucia Izzo - L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, non ha natura punitiva-repressiva, ma di sanzione amministrativa con funzione ripristinatoria del bene giuridico leso. Pertanto, non è assoggettato alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali e neppure alla prescrizione stabilita dall'art. 28 L. n. 689/1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.


La vicenda

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Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 55372/2018 (qui sotto allegata) su ricorso di un uomo nei cui confronti era stato revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena stante la mancata ottemperanza all'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, cui il medesimo beneficio era stato subordinato.


L'uomo contesta, tra l'altro, la mancata ricognizione della natura di sanzione penale dell'ordine di demolizione e la mancata applicazione del regime della prescrizione della pena ex art. 173 c.p.p., a fronte dell'intervenuto decorso di oltre cinque anni dall'adozione della sentenza del giudice di primo grado (del 24.1.2013) e di oltre sette anni dalla data di commissione del fatto (del 18.2.2011).

La demolizione dell'abuso edilizio

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Il Collegio fa proprie le conclusioni di una precedente sentenza, la n. 49331/2015, che ha escluso la natura sanzionatoria dell'ordine di demolizione sulla base di una un'articolata disamina della relativa disciplina di cui al D.P.R. 380/01.


Si è evinto che la demolizione dell'abuso edilizio è stata disegnata dal legislatore come un'attività avente finalità ripristinatorie dell'originario assetto del territorio imposta all'autorità amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall'art. 27, comma 2 del TUE o attraverso la procedura di ingiunzione.

Si tratta, dunque, di sanzioni amministrative che prescindono dalla sussistenza di un danno e dall'elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabili anche in caso di violazioni incolpevoli; come tali sono rivolte non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto e sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene

Sulla base di queste premesse, si è concluso nel senso che l'ordine in parola integri una sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale.

Ordine di demolizione e intervento del giudice penale

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È per tali ragioni che l'ordine di demolizione impartito dal giudice può essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso quando risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall'autorità amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza.

È stato osservato che "l'intervento del giudice penale si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell'originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni".

Tali considerazioni dunque, incidono senza alcun dubbio, secondo la Corte, sulla natura di sanzione amministrativa dell'ordine di demolizione impartito dal giudice, con ulteriori riflessi anche in tema di estinzione dell'ordine medesimo per il decorso del tempo.

Sempre nella richiamata sentenza n. 49331/2015 si è evidenziato che l'ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 della l. 689/81, che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell'art. 173 c.p., atteso che quest'ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali.

Ordine di demolizione: niente prescrizione quinquennale

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Considerazioni dalle quali la sentenza ha tratto il principio secondo cui la demolizione del manufatto abusivo, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive e ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso.

Tale ricostruzione interpretativa è stata anche valutata in rapporto alle decisioni della Corte EDU in tema di definizione del concetto di "pena": si è osservato che, per tali sue caratteristiche, la demolizione non può ritenersi una "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 del codice penale. Si configura in altri termini una sanzione che tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge.

Condividendo e dando continuità a tali principi, il Collegio ritiene che l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 D.P.R. 380/01 integra una sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, come tale non rientrante nell'ambito di operatività dell'art. 173 c.p. né soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 28 della legge n. 689/1981 che attiene alle sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

Scarica pdf Cass., III pen., sent. n. 55372/2018

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