Le dichiarazioni rese liberamente e senza coercizione saranno utilizzabili nella fase procedimentale e nei riti a prova contratta anche in assenza del difensore e degli avvisi ex art. 64 c.p.p.

di Lucia Izzo - Le dichiarazioni spontanee, anche se rese in assenza del difensore e senza l'avviso di poter esercitare il diritto al silenzio, sono utilizzabili nella fase procedimentaie, nella misura in cui emerga con chiarezza che l'indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione.


Si tratta, infatti, di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all'incidente cautelare, e ai riti a prova contratta, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento.

La vicenda

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, nella sentenza n. 14320/2018 (sotto allegata) respingendo il ricorso di un uomo condannato a due anni di reclusione (e 2000 euro di multa) per ricettazione, come confermato dalla Corte d'Appello.


In sede di legittimità, questi sostiene l'inutilizzabilità "patologica" delle dichiarazioni rese dal coimputato nell'immediatezza dell'accertamento del fatto, in quanto prestate senza le garanzie e in violazione dell'art. 63 c.p.p.; inutilizzabilità che non poteva trovare giustificazione sulla base del fatto che si era proceduto con il rito abbreviato.

Dichiarazioni spontanee: quando sono utilizzabili anche in assenza del difensore?

In realtà, rammentano gli Ermellini, l'art. 350, comma 7, c.p.p. consente alla polizia giudiziaria di ricevere le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato, anche in assenza di difensore e senza la somministrazione degli avvisi previsti dall'art. 64 del codice di procedura penale.

L'art. 350 dei codice di rito disciplina l'acquisizione di informazioni provenienti dall'indagato da parte della polizia giudiziaria "d'iniziativa", ovvero senza la mediazione del pubblico ministero.

Per la Corte, la "facoltà di interagire con l'indagato che non si trova in stato di arresto e di fermo (in tal caso il contatto con l'autorità giudiziaria è un presidio di garanzia che non prevede eccezioni) è concessa alla polizia giudiziaria soprattutto al fine di consentire il proficuo svolgimento dell'attività investigativa nelle fasi germinali dei procedimento, quando lo stesso non è ancora stato preso in carico dal pubblico ministero".

Tuttavia (cfr. art. 513, comma 1, c.p.p.) l'utilizzo delle dichiarazioni dell'imputato raccolte d'iniziativa dalla polizia giudiziaria è limitato alla fase procedimentale nella quale, comunque, il legislatore ha previsto un ulteriore limite: le dichiarazioni "sollecitate" acquisite senza garanzie "sul luogo e nell'immediatezza del fatto", infatti, saranno utilizzabili solo per l'immediata prosecuzione delle indagini.

Tuttavia, residua l'area delle dichiarazioni "spontanee" che, ai sensi dell'art 350 cit., saranno utilizzabili nell'area procedimentale e, dunque, nella cognizione cautelare, anche se acquisite senza le garanzie: sbaglia, dunque, il ricorrente a ritenere che queste debbano essere assunte in modo garantito, stante l'assenza di una previsione espressa, dovendosi riconoscere la prevalenza della disciplina prevista dall'art. 63, comma 2, del codice di procedura penale.

La Cassazione, infatti, distanziandosi dalla diversa conclusione espressa da parte della giurisprudenza, ritiene che la lettera dell'art. 350, comma 7, c.p.p. sia esplicita nel prevedere l'inutilizzabilità "relativa" delle dichiarazioni spontanee, ovvero solo dibattimentale; ciò impedisce di ritenere che la regola specifica in essa prevista possa essere "vanificata" dalla disciplina generale che sancisce l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese dall'indagato senza garanzie.

La norma, si legge nel provvedimento, si configura piuttosto come un'espressa eccezione a tale regola, che trova la sua la ratio nella natura eminentemente "difensiva" e "libera" delle dichiarazioni spontanee: la scelta personalissima dell'indagato di offrire la propria versione dei fatti è, infatti, tutelata dal codice di rito sia che l'accusato decida di rivolgersi alla polizia giudiziaria, sia che lo stesso si presenti al pubblico ministero.

Ove le dichiarazioni spontanee siano rese senza garanzie alla polizia giudiziaria il legislatore ha precisato il regime di utilizzabilità limitando l'utilizzo delle dichiarazioni alla fase procedimentale, ovvero alla cognizione cautelare e a quella sulla responsabilità che si svolge nei riti a prova contratta (nella piena disponibilità dell'accusato).

Una conclusione che, per il Collegio, è compatibile anche con le indicazioni della normativa europea (direttiva 2012/13/UE in materia di diritti di informazione dell'indagato) e con le indicazioni fornite dalla Corte EDU.

Nel caso di specie la Corte di appello ha inquadrato le dichiarazioni come spontanee valutando gli "elementi disponibili", ovvero il fatto che le stesse venivano rese nell'immediatezza dell'accertamento e allo scopo evidentemente difensivo ovvero in circostanze univocamente indicative della assenza di ogni sollecitazione.

Dichiarazioni spontanee utilizzabili nel rito a prova contratta

Infine, la Corte chiarisce che l'accesso ai rito a prova contratta si risolve in una espressa e personalissima rinuncia dell'imputato al diritto al contraddittorio, sicché diventano utilizzabili tutti gli atti formati nel corso delle indagini preliminari e, dunque anche le dichiarazioni spontanee, destinate altrimenti a perdere efficacia in caso di progressione processuale ordinaria.

Tale rinuncia al diritto di difesa, nella dimensione dei diritto al contraddittorio e alla oralità nella formazione della prova, non è in contrasto con il diritto tutelato dall'art. 6 della Convenzione Edu come interpretato dalla Corte di Strasburgo (cfr. Grande camera Scoppola v. Italia del 17 settembre 2009) ove tale rinuncia al diritto al contraddittorio sia effettuata volontariamente e spontaneamente dall'imputato che sceglie di definire la sua posizione con un rito a prova contratta.

Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto, la rinuncia al contraddittorio effettuata attraverso la libera e consapevole scelta di definire il processo con il rito abbreviato, sulla base di fonti di prova raccolte unilateralmente dalla pubblica accusa, non contrasta con il diritto convenzionale.

Cass., II pen., sent. 14320/2018

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: