Il reato richiede infatti la volontà di porre in essere condotte minacciose e moleste con la consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi di cui all'art. 612-bis c.p.

di Valeria Zeppilli - Il padre che "perseguita" la propria ex per poter vedere la figlia non può, per ciò solo, essere condannato per il reato di atti persecutori.

Nella sentenza numero 537/2018 qui sotto allegata, la Corte d'appello di Roma ha infatti specificato che l'elemento soggettivo richiesto per lo stalking, secondo un costante principio di diritto, è il dolo generico, ovverosia la volontà di porre in essere condotte minacciose e moleste con la consapevolezza che le stesse sono idonee a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dall'articolo 612-bis del codice penale.

Il dolo inoltre, precisano i giudici, deve essere unitario e quindi, anche se può realizzarsi in maniera graduale, deve comunque esprimere un'intenzione criminosa che va oltre i singoli atti dei quali si compone la condotta tipica.

Nessun intento persecutorio

Nel caso di specie, il padre non aveva fatto altro che porre in essere, pur "con modalità personalizzate e ridondanti", comportamenti connessi tra loro dall'essere originati dalla sua volontà di esercitare il diritto di visita della figlia minorenne, mentre mancava del tutto un effettivo intento persecutorio in danno della ex compagna.

In assenza di elementi di prova idonei a far ritenere che la condotta dell'uomo fosse diretta volutamente a creare intorno alla ex un clima di paura per la propria incolumità personale o a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, per la Corte d'appello non può dirsi dimostrato l'elemento psicologico del reato.

Di conseguenza, l'assoluzione del padre per insussistenza del fatto, già decretata dal Tribunale di Rieti, va necessariamente confermata.

Corte d'appello di Roma testo sentenza numero 537/2018
Valeria Zeppilli

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