Ne parliamo con Alessandro de Luyk autore del libro "Social Media Marketing tra UGC e algoritmi", per i tipi di Lupetti, un saggio multidisciplinare che svela aspetti ancora sconosciuti, presentato nei giorni scorsi a Milano

di Marina Crisafi - Social media marketing, un concetto che a pelle pare abusato, persino "banalizzato", ma quando lo si associa agli algoritmi, allora, lo sterzo dell'attenzione dà un colpo brusco, un segnale che desta attenzione. A fornire un contributo completo e innovativo sul tema, ci ha pensato Alessandro de Luyk, blogger e consulente SEO per imprese e istituzioni in Italia e all'estero, con "Social Media marketing fra UGC e algoritmi" pubblicato per i tipi di Lupetti editore. Un saggio, di oltre 350 pagine, che spazia dai selfie agli Used Generated Content, dal social commerce alla cura dei contenuti, con un approccio multidisciplinare, presentando sfaccettature e aspetti ancora sconosciuti ma fondamentali per imprese, professionisti e utenti. A raccontarci meglio la "verità" sul "Social media marketing" è la voce dello stesso autore (nella foto a sx, insieme a Fabio Venturi che ha firmato la prefazione) che abbiamo incontrato a Milano, in occasione della prima presentazione del libro.

"Social Media Marketing", dunque un libro di marketing?

No, non esattamente, piuttosto un saggio con un approccio che, in più punti si fa multidisciplinare. I libri di marketing, in particolare quelli di marketing strategico ed operativo si somigliano tutti. Cambiano qua e là gli approcci secondo la scuola di pensiero, ma la struttura è quella del manuale con teoria e analisi. Il testo invece di "Social Media Marketing fra UGC ed Algoritmi" sfugge al riduzionismo discorsivo tipico della struttura manualistica, non ricorre al linguaggio monocromatico del marketing, non segue l'autostrada dell'eziologia, retaggio - più di altri - di un quasi obbligato percorso metodologico del prodotto-prezzo-posizionamento-promozione, e invece fonda un percorso in parte guidato in parte autonomo. Permette all'utente una lettura non lineare, apre ad un processo di approfondimento extra testuale verticale e, potenzialmente, anche molto personalizzato.

Secondo lei, quindi, il marketing sarebbe superato?

No, affatto. Credo però sia particolarmente difficile, oggi, scrivere un testo di marketing che sia innovativo. Ci provano spesso gli americani. La mia personale opinione è invece che all'alba del terzo millennio sia stato il connubio cultura - tecnologia - società nelle sue molteplici interrelazioni ad aver fornito materia per un nuovo Marketing, quello digitale al cui interno si collocano, solo per citarne alcuni, il Social Media Marketing, ma anche la SEO (Search Engine Optimization) e la SEM (Search Engine Marketing); è questa ventata di nuovi studi e strumenti che va realmente ad innovare dall'interno la disciplina del Marketing.

Dunque, è in atto un'evoluzione?

Assolutamente sì, quasi una rivoluzione. Alex Pentland per esempio afferma che "siamo sul punto di reinventare cosa significa essere una società umana". Secondo gran parte della letteratura odierna Internet è una delle tecnologie più disruptive fra quelle realizzate dall'uomo. Qui mi riferisco proprio alla concettualizzazione della disruptive innovation proposta da Clayton Christensen. Il potere "disruptivo" di Internet impatta anche le discipline economiche rendendo obsoleti e limitati i loro strumenti di analisi e persino la loro semantica e pongono limiti indesiderati all'attuale tassonomia che ordina i nostri saperi.

Pensiamo al fatto che mancano, per esempio, i termini per descrivere certi fenomeni. Lo provano gli innumerevoli neologismi che affiorano ovunque in letteratura tecnica ma vivono solo una stagione, poi, non trovando eco sufficiente, non attecchiscono e non entrano nel nostro patrimonio linguistico, né nel linguaggio tecnico né in quello naturale.

Potrebbe trattarsi di un fenomeno più esteso che non coinvolge solo la tecnologia e la robotica?

Ovviamente, oltre alla tecnologia, il contributo della ricerca umana è sempre al centro, altrimenti non vi sarebbe discorso e neppure pensiero. I segnali di questa evoluzione dei paradigmi conoscitivi sono probabilmente manifesti in altri campi dello scibile umano ma non entrano nell'ambito dei miei studi. Tuttavia, possiamo osservare come lo stesso tipo di "fenomeno di obsolescenza" che oggi coglie il Marketing investì, nel Novecento, la Fisica. Ciò accadde quando la scienza iniziò a scoprire i misteri nell'ambito relativistico e quantistico. Non c'era più nulla da aggiungere su quella che definiamo la fisica classica, l'oggetto di studio si era semplicemente spostato altrove e lo dobbiamo a scienziati come Einstein, Planck, Heisemberg, Pauli, Schroedinger, Dirac, ecc. E' in quell'altrove che si annidavano i misteri ma anche le nuove soluzioni. In pratica ciò che è sfidante emerge un po' alla volta, l'uomo affronta le scoperte man mano che evolve, ed evolve man mano che riduce una scoperta ad un concetto a lui accessibile. Questo è ciò che accade oggi con il Marketing. Cercare in un Marketing dell'era predigitale delle soluzioni o delle innovazioni mi sembra impossibile, una tautologia. Ed ora gli algoritmi ci danno solo un assaggio della loro potenza, ma già l'antipasto è tale da coinvolgere quasi tutti i campi dell'economia e della società lo studio deve spostarsi ancora. SMM, SEO, SEM, diventano solo tasselli ma manca un quadro di insieme. Presto avremo sensori e agenti non umani che interagiranno con noi con interfacce aptiche e vocali così semplici da usare che potranno stare fra di noi, convivere con gli umani in spazi comuni. Ora non è così, robot ed agenti dotati di intelligenza sintetica sono ancora confinati in spazi in cui esiste il presidio e la difesa organizzata dagli enti di ricerca privata (leggi Alphabet, IBM, Apple, Facebook, Amazon, Tesla, ecc.) o da quelli della ricerca pubblica tipicamente nell'ambito delle università o, infine, vengono sottratti da occhi indiscreti nei laboratori delle grandi organizzazioni (leggi NSA ed altri enti governativi che conducono studi top secret). Una volta rilasciati, immessi negli spazi sociali, dobbiamo riuscire ad immaginarli e, poiché non si dovranno necessariamente localizzare in un punto o sostanziati in un corpo, per quanto non biologico, tuttavia faranno parte del nostro environment culturale e produttivo. Una volta dotati di sufficienti capacità intellettuali faranno parte anche del nostro milieu sociale. Tutto ciò impone una nuova classe di sfide: dovremo tenere conto anche della loro presenza, delle loro decisioni delle loro azioni. Già oggi dovremmo chiederci come gli algoritmi di High Frequency Trading si relazionano con l'ambiente non strettamente economico. Come operano nel corpo della società dato che sono pervasivi e allo stesso tempo fallaci.

Immagino che stia facendo riferimento al Flash Crash del 2010...

Proprio così. E per questo credo che forse dovremmo reingegnerizzare tutti gli studi di economia e pensare ad un nuovo approccio epistemologico, forse, riprendendo il pensiero di Focault nella sua opera "Le parole e le cose: Un'archeologia delle scienze umane" dovremmo supporre che stiamo varcando una soglia, dominata da una nuova episteme la cui singolarità, e questo è un gioco di parole con il concetto di Singolarità in AI, sta nella sua origine e forma che sarà solo in parte umana. Il centro gravitazionale da cui emanano le onde sismiche della complessità dipende dal fatto che l'uomo, la sua Storia, tutta la sua evoluzione (tanto in un approccio ontogenetico quanto filogenetico) ne hanno formato un'identità analogica ("l'identità è una questione analogica" per citare nuovamente Alex Pentland) mentre il mondo in cui è immerso ormai è digitale ed artificiale. Tirata alle estreme conseguenze questa è, in fondo, la distopia narrata nel film "The Matrix" e, come a Neo serve la pillola (quella rossa) per svegliarsi e "vedere" così a noi servono nuovi strumenti di indagine per capire.

Riflettiamo un momento sulla Tecnologia: già ora la conoscenza prodotta dagli algoritmi sfugge al nostro controllo: le macchine evolute di deep learning e persino quelle di machine learning non sono del tutto addomesticate dai loro creatori. Gli output sono parametrizzabili eppure, oltre un certo livello di granularità, diventano imprevedibili. E si tratta solo di macchine intelligenti incomplete, non senzienti e con compiti molto limitati, ma siamo solo all'inizio. La nuova episteme? Probabilmente sarà quella macchinica e lo diventerà ben prima dell'avvento della Singolarità.

Torniamo al libro. Il sottotitolo fa riferimento a UGC e algoritmi. Cosa sono gli UGC?

UGC è uno dei tanti acronimi cari agli autori americani. Significa User Generated Content ovvero Contenuti Generati dagli Utenti. Ci sono letteralmente derrate di contenuti, anche multimediali, che vengono dati in pasto alle piattaforme sociali e formano un'ecologia di materiali realizzati persino spontaneamente, senza un fine pratico, da persone che lo fanno per gioco o per hobby. Il libro affronta questa tema nel dettaglio. Si studia la distinzione fra i contenuti generati spontaneamente e quelli sollecitati e incentivati. Poi vengono analizzate, anche in maniera piuttosto ravvicinata alcune importanti campagne realizzate da alcuni noti brand a stelle e strisce come: West Helm, DermaBlend Pro, Marc Jacobs, Pinguin Books, DKNY, Starbucks, Crocs, e parecchie altre.

Hic sunt leones scrivevano, come un monito, gli antichi sulle mappe dell'Africa ad indicare le zone sconosciute del grande continente. Sconosciute e pericolose. Zone nelle quali era sconsigliato addentrarsi. Uno screening della rete oggi potrebbe facilmente dimostrare che non ci sono aree della creatività che sono rimaste periferiche o escluse dalla materia duttile degli UGC. Creativi di professione e pubblico non si escludono a vicenda, tutti partecipano perché da nessuna parte si trovano aree presidiate dai leoni. I brand sono capaci di attualizzare un richiamo così vivo da coinvolgere tanto gli uni quanto gli altri senza distinzioni di merito. Poi le leggi del caso e dei grandi numeri fanno il resto. Dove mai è stato scritto che le idee originali, persino uniche, non possano germogliare nelle mente di chiunque. Il ruolo di creativi è marginale, ma non sta a margine degli UGC. Ciò che conta infatti è la cocreazione del valore. La dinamica posta sotto osservazione dal mio come da altri testi di media studies non verte sulle appartenenze alle classi professionali delle forze messe in campo, quanto piuttosto sul fenomeno del contagio in sé e per sé che elimina le gerarchie anche grazie alla democratizzazione favorita dal fenomeno della creazione degli UGC.

Lei che lo osserva da vicino riscontra lo stesso fervore creativo, o forse dovrei dire cocreativo, anche in Italia?

No, non come in America. Infatti, è così spinta questa tendenza negli USA da potersi spiegare come la conseguenza di una cultura in cui il consumismo è avvertito come forza sociale positiva molto più che in Europa. Fino a qui l'analisi condotta nel libro. Ora, data l'opportunità di questa intervista, mi sembra opportuno anche giustificare la scelta che ho seguito nell'insistere sull'analisi del mercato americano con limitate incursioni in quello italiano.

L'andare per compere, lo shopping, è un'esperienza che trova nella cultura americana terreno fertile per essere spettacolarizzata. Non dovrebbe sorprenderci questo fenomeno dal momento che quella è la patria dei parchi a tema ed è qui, come anche in Giappone, che la gente si mette in fila per giorni pur di acquistare il nuovo IPhone. Il fenomeno dell'agire il consumo dei parchi a tema è spesso indagato nei testi di sociologia dei consumi. Walt Disney rimarrà scolpito nell'immaginario degli americani come il padre di Disneyland persino assicurandosi, con questa paternità, un riconoscimento che gli garantisce una gratitudine del pubblico superiore anche all'aver saputo realizzare degli eccezionali personaggi animati.

Quella americana è una società che spinge al consumismo, i brand vengono percepiti con una grande rapporto di prossimità alle persone e questi fattori sollecitano il pubblico a mettersi in gioco ed oliano i meccanismi della creatività. È cosi ampia l'adesione ai progetti di comunicazione con la creazione di contenuti che il libro ha voluto offrire delle case history, analizzate anche da vicino come dicevo, ma alcune raggiungono i picchi delle prestazioni artistiche come mi sembra abbia esemplarmente dimostrato il caso di Brita Lynn nella campagna di Starbucks con cui ha ridisegnato il famoso bicchiere di carta; per i dettagli posso solo rimandare al libro.

Per avvicinare i lettori ai contenuti dell'opera è stato predisposto un sito?

Certamente, il sito di presentazione è qui: www.libro-socialmediamarketing.it. Abbiamo aggiunto anche l'indice completo che credo sia il modo migliore per scegliere se acquistare o meno il libro. Per brevità posso anticipare che ci sono otto capitoli principali: Dalla fotografia analogica al selfie, dal fan all'influencer; UGC, User Generated Content; Social Media e Social Network; Piattaforme usate per produrre e distribuire UGC; Content Curation; Dal Purchase Funnel al Customer Decision Journey; Social Media Monitoring and Listening; Social Commerce.


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