La Suprema Corte aderisce al suo precedente principio maggioritario secondo il quale integra reato di falsità materiale in atti pubblici la mera riproduzione fotostatica di un documento non esistente in originale

Avv. p. Lucia Apuzzo - Con la recente pronuncia n. 5452/2018 (sotto allegata), la Cassazione ha ribadito la volontà di aderire al suo precedente principio maggioritario secondo cui integra il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, la formazione di un documento presentato quale mera riproduzione fotostatica di atto pubblico, non esistente in originale, del quale si intenda artificiosamente attestarne l'esistenza ed i conseguenti effetti probatori, poiché idoneo ad ingannare la pubblica fede.

La vicenda

L'intervento è stato chiesto alla Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, a seguito di ricorso promosso dalla difesa dello stesso imputato, impugnando la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano, in data 17/05/2016, in conferma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano, in data 25/06/2014 per i reati di falso (artt. 476 e 482 c.p.) e truffa aggravata.

La difesa, lamentava nel ricorso, vizio di legge in riferimento agli artt. 476 e 482 c.p., da parte del Giudice di appello.

Con particolare riferimento all'art. 476 c.p., osservava la difesa che, in effetti, la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito in precedenti pronunce (cfr. n. 42065/2010 e n. 7385/2007) che, sebbene ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 476 c.p. non fosse necessaria una falsificazione di un atto pubblico, ma che la condotta ben potesse riguardare anche una copia fotostatica, idonea quindi a far apparire esistente l'atto stesso, ingannando perciò la pubblica fede, nel caso di specie, mancava, in concreto, l'atto originale. Tutti i documenti di cui era contestata la falsificazione erano, cioè, solo mere copie fotostatiche senza timbro né attestazione di conformità ad un atto pubblico originale.

Falsità materiale la fotocopia di atto pubblico inesistente

Ebbene, nel caso di specie, i Giudici della Corte, pur non disconoscendo l'orientamento secondo cui "l'alterazione di copia informale di un atto pubblico non integra il reato di cui agli artt. 476 - 482 cod. pen., che sussiste solo in presenza dell'alterazione di copie autentiche di atti pubblici, né il meno grave reato di cui all'art. 485 cod. pen., che ha ad oggetto la falsificazione delle scritture private" (in tal senso, v. Sez. II, n. 42065/2010), hanno, comunque, ritenuto di aderire all'orientamento maggioritario (cfr. Cass. n. 6572/2007, n. 24012/2010) che considera penalmente rilevante e dunque sussumibile nell'art. 476 c.p., la condotta, posta in essere dal pubblico ufficiale, di formazione di un atto quale riproduzione fotostatica di un atto pubblico, in concreto inesistente, perché idoneo a trarre in inganno la pubblica fede.

In particolare, l'esistenza di una copia avente i caratteri apparenti di un atto pubblico, postula, in effetti, la contraffazione dell'atto presupposto, di cui è stata effettuata una copia fotostatica, ossia l'esistenza del documento pubblico ed "in ogni caso, affinché sussista il reato in esame non è affatto necessario che vi sia un intervento materiale su un atto pubblico, essendo sufficiente che attraverso la falsa rappresentazione della realtà operata dalla fotocopia tale atto appaia esistente, con lesione della pubblica fede". Pertanto, integra, la fattispecie di cui all'art. 476 c.p., anche l'alterazione compiuta sulla fotocopia di un atto pubblico esistente, ovvero il fotomontaggio di più pezzi di atti veri, ovvero ancora la creazione artificiosa di una fotocopia di un atto inesistente, tanto più quando la provenienza dell'atto e le circostanze del suo utilizzo ne facciano presumere la conformità all'originale e dunque inducano il privato a ritenere che tale atto pubblico originale sia esistente.

"La falsità, invero, è integrata non tanto e non solo dalla modificazione di una realtà probatoria preesistente (che nel caso di specie non c'è), ma anche dalla mendace e attuale rappresentazione di una siffatta realtà probatoria, creata appunto attraverso un simulacro o una immagine cartolare di essa (fotocopia o anche fotomontaggio), che è intrinsecamente idonea a ledere (e lede) il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, costituito dalla pubblica affidabilità di un atto, qualunque esso sia, proveniente dalla pubblica amministrazione".

Il contrasto, poi, con altra precedente pronuncia (fattispecie in cui la Corte ha escluso la penale rilevanza della condotta di trasmissione via telefax, di una autorizzazione ambientale inesistente al committente dei lavori di ristrutturazione di un immobile, posta in essere da un geometra) in in cui è stato affermato che "non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 cod. pen., la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un provvedimento amministrativo inesistente, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall'imputato e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentativa dell'esistenza di un atto corrispondente" (cfr. Cass. n. 8870/2014) è solo apparente. Non poteva certo ritenersi ipotizzabile, infatti, una falsificazione materiale idonea ad ingannare la pubblica fede per copie di un fax, prive di qualsiasi attestazione di autenticità ed ictu oculi riconoscibili come riproduzioni telematiche, utilizzabili per qualsiasi scopo di legge, anche per l'avvio di una pratica di finanziamento, diversamente per quanto avvenuto nel caso che ci occupa, in cui la falsificazione ha riguardato atti pubblici inesistenti, ma riprodotti artificiosamente in copia, al fine di far credere esistenti gli originali e, dunque, ingannare la pubblica fede.

Cassazione, sentenza n. 5452/2018

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