Quando è possibile e quanto costa rinunciare all'intera proprietà o alla quota di un bene immobile

di Lucia Izzo - È meno raro di quanto si pensi che un bene immobile, ad esempio una casa o un terreno, lungi dal voler essere acquistato sia, invece, considerato "inutile" e nel proprietario subentri la volontà di volersene disfare.

D'altronde, la proprietà (o la comproprietà) non è affatto priva di oneri e non necessariamente determina vantaggi potendo, anzi, essere fonte di costi, tasse e responsabilità sicchè la tenuta del bene "parcheggiato" appare fastidiosa e insopportabile per molte famiglie.

In un periodo di crisi sociale ed economica, la burocrazia, le difficoltà di tenuta e manutenzione del bene "scomodo" rendono sempre più concretamente percorribile la strada della rinuncia.

La vendita, infatti, non è sempre la strada più facile da percorrere: basti pensare al comproprietario, insieme ai parenti, di una quota talmente bassa di un bene che nessuno degli altri comproprietari intende vendere e da cui, comunque, derivano tasse e costi.

La tematica non è di poco conto, tanto da essere stata oggetto di uno studio (n. n. 216-2014/C, qui sotto allegato) da parte del Consiglio Nazionale del Notariato, volto a esaminare il tema della rinunciabilità del diritto di proprietà e dei diritti reali di godimento.

La rinuncia

Il Codice Civile non contiene una norma esplicita sull'istituto della rinuncia, pertanto l'istituto è stato definito prendendo in esame altre norme che ne disciplinano, per casi particolari, la forma, la pubblicità o gli effetti (es. artt. 882, art. 1070 e 1104 c.c.).

Dalla lettura combinata delle norme, la natura giuridica della rinuncia è stata ricostruita, dalla dottrina prevalente, come negozio giuridico unilaterale mediante il quale l'autore dismette una situazione giuridica di cui è titolare (c.d. rinuncia abdicativa).

La rinunzia alla proprietà

Quanto all'oggetto della rinuncia abdicativa si ritengono generalmente rinunziabili anche i diritti reali. In particolare, quanto al diritto di proprietà, sono diversi gli elementi a sostegno della sua rinunciabilità, ad esempio il suo carattere "disponibile", la previsione di specifiche ipotesi nel codice civile (artt. 882-1104 c.c.), l'ingiusta disparità di trattamento che si creerebbe con i beni mobili, i quali possono essere pacificamente abbandonati.

Effetto di tale rinuncia, a norma dell'art. 827 c.c., è quello dell'acquisizione da parte dello Stato dei beni immobili che non sono (più) in proprietà di alcuno. Si realizza, così, un acquisto a titolo originario che costituisce effetto solo indiretto e mediato della rinunzia, e che trova fondamento nella legge.

La rinunzia alla proprietà si ritiene avere natura di negozio unilaterale non recettizio, per il quale è escluso sussista un potere di rifiuto da parte dello Stato.

La rinunzia alla quota in comproprietà

Oltre alla rinuncia alla proprietà esclusiva, si ritiene ammissibile anche quella del titolare di una quota sul bene immobile che, in tal modo, provoca il venir meno alla comproprietà e, come effetto ulteriore, un'espansione del diritto degli altri comproprietari.

L'effetto di espansione e accrescimento delle quote dei comproprietari è una conseguenza della natura della comunione e costituisce un effetto indiretto e mediato della rinuncia. Gli altri comproprietari possono, infatti, scegliere di "resistere" oppure di rinunciare a loro volta alla propria quota, ma non non possono impedire la rinuncia altrui.


La possibilità di un rifiuto, rimedio generale

contro le altrui intrusioni nella propria sfera giuridica,

opera solo con riferimento agli atti che producono come effetto diretto tale intrusione, situazione che non si verifica in caso di rinuncia alla quota di proprietà.


Tra le ipotesi di rinunzia alla quota viene in rilievo quella prevista espressamente dal codice civile (art. 1104 c.c.) ovverosia la c.d. rinunzia liberatoria, che si caratterizza per la circostanza che all'effetto abdicativo del diritto reale si accompagna la dismissione di una situazione debitoria e, in tal caso, il rinunciate si libera di tutte le spese, future e anche passate, derivanti dalla contitolarità.

Tuttavia, si ritiene ammissibile in tal caso anche la c.d. rinuncia abdicativa, per effetto della quale si verifica la pura e semplice abdicazione della quota di cui il soggetto sia titolare, senza ulteriori effetti negoziali propri dell'atto posto in essere.

Anche in tal caso si verificherà il fenomeno di espansione o accrescimento quale conseguenza della natura della comunione, ma il rinunciante sarà tenuto comunque all'adempimento di tutte le obbligazioni inerenti la cosa sorte fino al giorno della rinuncia.

Quando non è possibile rinunciare alla proprietà?

Non è possibile rinunciare alla proprietà di un bene condominiale. È il codice civile (art. 1118) a vietare inderogabilmente al condomino la rinunzia al suo diritto sulle parti comuni, precisando che non potrà sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni.

Quanto costa rinunciare alla proprietà?

La rinuncia al bene immobile o una quota di esso è operazione che va stipulata dal notaio (pagando l'imposta di donazione) il quale che provvederà poi alla registrazione al Catasto.

In caso di cessione del bene allo Stato, il rinunciante dovrà pagare l'imposta un'aliquota all'8%, mentre se l'atto accresce la quota di un comproprietario, il costo varia in base al grado di parentela: il passaggio di proprietà in linea retta (tra padre, figli e nipoti) non determina imposte se il valore del bene donato è inferiore a un milione di euro; per i passaggi tra fratelli, invece, l'imposta è pari al 6% del valore con una franchigia di 100mila euro; infine, per i cugini, l'imposta sarà sempre al 6% senza alcuna franchigia (si pagherà anche per valori minimi).

Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 216-2014/C

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