Per i giudici va necessariamente garantito il contemperamento tra necessario formalismo e effettività della tutela

di Valeria Zeppilli - Se il ricorso in Cassazione non contiene l'indicazione precisa e specifica degli atti e dei documenti sui quali si fonda, i giudici non possono che dichiararne l'inammissibilità.

Lo ha affermato la sesta sezione civile della Corte di cassazione con l'ordinanza numero 23452/2017 qui sotto allegata, del 6 ottobre, precisando la natura della regola fissata dal numero 6) dell'articolo 366 del codice di procedura civile, in forza del quale il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, "la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi" sui quali si fonda.

La ratio dell'art. 366, n. 6, c.p.c.

Tale regola, per i giudici, risponde all'esigenza di rendere possibile lo svolgimento del giudizio di terza istanza, basato essenzialmente su atti scritti e nel quale la possibilità di essere ascoltati oralmente dal giudice è ormai solo eventuale.

Il "carattere particolarmente analitico dei requisiti di contenuto-forma" è insomma giustificato da un'esigenza che è "coessenziale alla logica strutturale del mezzo di tutela" e, pertanto, non è limitativa né dell'accesso alla tutela, né dell'equità del processo. Del resto, sottolinea la Corte, tale necessità non riguarda attività che sono estranee all'esercizio del diritto di azione ma "un onere interno allo stesso esercizio di tale diritto con l'atto con cui avviene".

Si tratta, in sostanza, di un contemperamento tra il formalismo necessario e l'effettività della tutela che va necessariamente e rigorosamente garantito.



Corte di cassazione testo ordinanza numero 23452/2017
Valeria Zeppilli

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