Definizione, tipologie e trattamento della "diversità"

di Raffaella Feola - La definizione più nota di "minoranza" è quella di Francesco Capotorti: "La minoranza è un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione, e mostrano, anche solo implicitamente, un senso di solidarietà, diretta a preservare la loro cultura, tradizioni, religione o lingua".

La tutela giuridica della "diversità"

Per tutelare la diversità sono stati utilizzati strumenti giuridici che si raggruppano in tre macro-categorie:

1. non discriminazione- un soggetto non può essere trattato diversamente per il solo fatto di appartenere ad un determinato gruppo;

2. diritti particolari- sono diritti riconosciuti solo in capo ad alcuni soggetti, che da un lato permettono la parità di trattamento, dall'altro consentono di superare quegli ostacoli posti dalla società. Alla base vi è un principio di proporzionalità, per mezzo del quale vi deve essere proporzione tra l'obiettivo da raggiungere e lo strumento utilizzato;

3. diritti all'autogoverno- sono presi in considerazione strumenti che consentono di gestire autonomamente alcuni settori della vita organizzata, affinché sia mantenuta la diversità.

Tali diritti si caratterizzano per la loro dimensione collettiva e territoriale.

Tipologie di ordinamento nel trattamento delle diversità

Ma come si atteggiano gli Stati nel trattamento delle diversità?

È possibile configurare quattro tipologie di ordinamento:

1. ordinamento repressivo- lo Stato in questione enfatizza l'idea di unità nazionale e omogeneità della popolazione. Con politiche repressive si nega l'esistenza di minoranze;

2. ordinamento liberale- lo Stato riconosce strumenti volti a tutelare le libertà fondamentali, prescrivendo divieti per evitare qualsiasi forma di discriminazione;

3. ordinamenti promozionali- sono ordinamenti caratterizzati dalla presenza di un gruppo nazionale dominante a cui sono affiancati gruppi minori, ai quali sono riconosciuti particolari diritti,

4. ordinamenti multinazionali- hanno la caratteristica di integrare le diversità e di riflettere all'interno delle istituzioni i gruppi presenti nello Stato. Ogni comunità nazionale è elemento costitutivo dello Stato, e tale modello può essere applicato sia su tutto il territorio che in parti di esso. Se i gruppi sono rappresentati in proporzione numerica avremo un modello "proporzionale" che si distingue da quello "paritario".

L'affermazione delle minoranze

1) Minoranze religiose

Il concetto di minoranza si è affermato in riferimento al fattore religioso, prima della riforma protestante, infatti, vi era coincidenza tra vita politica e religiosa. La religione è sia elemento di coesione che di divisione, basti pensare alla guerra dei trent'anni accaduta proprio a causa dell'opposizione religiosa e politica tra cattolici e protestanti. Il compromesso al quale si giunse -pace di Westfalia (1648)- portò a due conseguenze:

· affermazione del principio di territorialità religiosa, per mezzo del quale ogni territorio acquista automaticamente la religione del proprio sovrano, iniziandosi a determinare le prime minoranze;

· delinearsi della questione tedesca, poiché la Germania -epicentro della guerra di religione- mira alla costituzione di uno Stato nazionale.

La nascita dello Stato moderno, segna il primato dello Stato sulla Chiesa e si accentua quello che alla storia passa come separazione del potere temporale e spirituale.

In base all'atteggiamento che l'ordinamento assume nei confronti dei gruppi religiosi si delineano:

· ordinamenti confessionali-le differenze religiose vengono represse, ne viene negata l'esistenza e la professione del culto;

· ordinamenti agnostici- è negata la dimensione religiosa nella sfera pubblica, tutelando però i diritti individuali anche in ambito religioso;

· ordinamenti promozionali- attribuiscono status diversi ai singoli gruppi religiosi, in base a ragioni storiche e culturali. Per fare ciò è utilizzato lo strumento del concordato, che consiste in un accordo tra ordinamento statale e singola confessione religiosa;

· ordinamenti multiconfessionali- sono caratterizzati da un approccio pluralistico rispetto al fenomeno religioso, sviluppando tecniche innovative per la conciliazione della dimensione individuale e collettiva dei fattori religiosi.

2) Minoranze linguistiche

L'espressione "diritti linguistici" si riferisce al diritto di singole persone o di collettività ad usare la propria lingua nativa. La questione sui diritti linguistici si afferma con la formazione degli Stati nazionali nell'ottocento. La lingua nazionale è il criterio principale di integrazione simbolica della nazione. La dimensione linguistica può essere intesa sia in senso soggettivo che oggettivo. Nel primo caso ci si riferisce al diritto delle minoranze e alle norme che regolano l'uso della lingua; nel secondo, invece, la lingua è un bene culturale e elemento di differenziazione per indicare l'appartenenza ad un gruppo. È il termine "madrelingua" a denotare il rapporto emotivo e identitario con il gruppo a cui si appartiene.

In Europa si può constatare che il numero delle lingue parlate è di 60 al di fuori delle 11 ufficiali, si evince, quindi, che il 10% della popolazione europea usa una lingua diversa da quella della maggioranza della popolazione nazionale.

I diritti linguistici rappresentano la categoria più elaborata tra i diritti delle minoranze. Tra gli stati del Consiglio d'Europa, 24 costituzioni su 47 contengono disposizioni riguardanti minoranze etniche o nazionali, 19 garantiscono diritti linguistici, 17 prevedono i diritti culturali, 14 disposizioni specifiche per le minoranze in materia di istruzione e 8 garantiscono le minoranze religiose e la partecipazione politica.


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