Se non sono provati né il reimpiego per necessità familiari né lo spirito di liberalità nulla impedisce la condanna alla restituzione

di Valeria Zeppilli - Il coniuge che preleva dal conto corrente cointestato dei soldi per sé e non per i figli quando ormai il rapporto di coppia è in crisi conclamata è tenuto a restituirli all'altro.

Con la sentenza numero 11451/2017 (qui sotto allegata), la prima sezione civile del Tribunale di Roma ha infatti condannato una donna a rendere al marito (unico percettore di reddito) le somme attinte dal conto per acquistare l'ennesima autovettura, per circoli sportivi, per donne di servizio e per l'assicurazione di 5 macchine. Il tutto quando ormai era separata di fatto dall'uomo.

Niente reimpiego per necessità familiari

Nel sancire la condanna della donna alla restituzione delle somme, il Tribunale di Roma non ha omesso di considerare che l'articolo 1911 del codice civile esclude dall'obbligo restitutorio in favore della comunione legale le somme che il coniuge preleva dal patrimonio comune solo se le stesse vengono impiegate per adempiere le obbligazioni previste dall'articolo 186 del codice civile (ovverosia quelle contratte per il mantenimento della famiglia o comunque nel suo interesse o per l'istruzione e l'educazione dei figli).

Nel caso di specie, invece, mancava del tutto la prova che le somme prelevate dalla donna erano state reimpiegate per necessità familiari, ma anzi in corso di causa era emerso che le stesse erano state utilizzate per fini del tutto diversi.

Niente spirito di liberalità

Per salvarsi dalla condanna, la donna aveva anche tentato di ricondurre la messa a disposizione da parte del marito delle somme versate sul conto corrente cointestato allo spirito di liberalità, peraltro senza offrire in giudizio né una più precisa deduzione in merito né alcuna prova.

Per i giudici, tuttavia, occorre ricordare che la cointestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro appartenente a uno solo dei cointestatari (come nel caso di specie) è donazione diretta solo se viene riscontrata l'effettiva esistenza dell'animus donandi. Peraltro ciò vale solo per il denaro versato prima della cointestazione, mentre per le somme versate dopo la donazione indiretta è preclusa dal divieto di donazione di beni futuri.

Oltretutto, la mera esistenza del vincolo coniugale non permette di ritenere che la cointestazione dei conti persegua il solo scopo di liberalità. Spesso, infatti, essa trova fondamento in esigenze di carattere pratico e di migliore gestione del ménage familiare.

La donna dovrà quindi restituire all'ex ben 102mila euro.

Tribunale di Roma testo sentenza numero 11451/2017
Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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