La Consulta ha depositato le motivazioni della sentenza che "salva" la riforma della responsabilità civile dei magistrati. L'abolizione del filtro di ammissibilità supera il vaglio della Corte

Avv. Luisa Foti - Dopo la decisione adottata il 3 aprile scorso, il 12 luglio la Corte costituzionale, con la sentenza n. 164/2017, ha depositato le motivazioni della decisione avente ad oggetto alcuni profili di presunta illegittimità della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, la cd. legge Vassallo, modificata dalla legge approvata nel 2015, la n. 18. La riforma ha lasciato inalterati diversi profili della responsabilità civile dei magistrati ma, tra le tante cose modificate, ha soppresso il filtro di ammissibilità della domanda risarcitoria: il cittadino può, dunque, direttamente agire per proporre la domanda risarcitoria nei confronti dello Stato.

La questione di legittimità costituzionale della riforma della responsabilità dei magistrati

La Consulta, in particolare, dopo aver rigettato le diverse ordinanze rimesse dai giudici di Verona, Treviso, Catania ed Enna, per difetto di rilevanza (cfr. considerato in diritto, punto 3), ha ammesso solo l'ordinanza del Tribunale di Genova, con il quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2 della legge n. 18 del 2015 nella parte in cui ha abolito il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni, abrogando l'art. 5 della cosiddetta legge Vassallo.

Spiegando che le modifiche legislative sono state fatte sulla base delle indicazioni della Unione Europea (vedi in particolare la sentenza

della Corte di giustizia dell'Unione Europea, la nota pronuncia Köbler, sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler) e sulla base del principio dell'"equivalenza" - ("il quale postula che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni nei confronti dello Stato, per la responsabilità civile in esito alla violazione del diritto europeo per mezzo di provvedimento giurisdizionale, non possono essere «meno favorevoli» di quelle riguardanti analoghi reclami di natura interna, vale a dire delle altre "normali" azioni risarcitorie esercitabili dai cittadini nei confronti dello Stato in altre e diverse materie") - e della "effettività" della tutela - ("che esige, poi, che i meccanismi procedurali del diritto nazionale non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento") - la Corte ritenendo non fondata la questione, ha spiegato che non è illegittima la soppressione del filtro di ammissibilità in quanto vengono ben bilanciati gli interessi in gioco dell'effettività della tutela e della autonomia e indipendenza della magistratura. Secondo la Consulta, la riforma non mina la serenità del giudice in quanto rimane inalterato il meccanismo del divieto dell'azione diretta contro il magistrato e il limite della rivalsa eventuale dello Stato nei confronti del magistrato. Non è costituzionalmente necessario, secondo il giudice delle leggi che, per bilanciare i contrapposti interessi sia prevista "una delibazione preliminare dell'ammissibilità della domanda contro lo Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura".

L'abolizione del filtro di ammissibilità ha superato il vaglio del giudice delle leggi

Dalla parte motiva della sentenza si legge infatti che: "in tale cornice di rinnovato bilanciamento normativo − i cui termini sono rimessi alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della ragionevolezza − si colloca - ha spiegato la Consulta - la scelta legislativa di abolizione del cosiddetto "filtro di ammissibilità", ritenuta funzionale al nuovo impianto normativo, specie se riguardata alla luce dei già ricordati principi affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea. Non è costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i contrapposti interessi di cui si è detto, sia prevista una delibazione preliminare dell'ammissibilità della domanda contro lo Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Tale esigenza può essere infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il mantenimento del divieto dell'azione diretta contro il magistrato e con la netta separazione dei due ambiti di responsabilità, dello Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della rivalsa. Tanto vale a stornare il paventato pericolo che l'abolizione del meccanismo processuale in esame determini un pregiudizio alla «serenità del giudice» come pure la temuta deriva verso una «giurisprudenza difensiva», ipotesi, questa, che evidentemente oblitera l'elevato magistero proprio di ogni funzione giurisdizionale".


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