il linguaggio della politica al tempo della televisione

di Angelo Casella - Secondo un recente (2014) studio dell'Ocse, in Italia il 5% della popolazione è analfabeta (non distingue il valore e il senso di una lettera rispetto ad un'altra), un altro 28% ha problemi di lettura: capisce ed esprime solo parole semplici. A questa, segue una fascia di analfabeti funzionali (38%): leggono, scrivono e comprendono solo periodi semplici e si perdono davanti a una o più subordinate.

Rimane infine un 29%, all' interno del quale si parte da un primo gradino di coloro che dispongono del minimo indispensabile per orientarsi nella vita privata e pubblica, per salire poi ad un massimo nel quale si riscontra una reale padronanza della lingua italiana nonchè una capacità di servirsi della logica e di gestire concetti astratti (che costituiscono la base della conoscenza).

Tutto ciò mette in luce delle impressionanti carenze, strutturali e programmatiche del sistema educativo nazionale (ed oggi ancora aggravate da recenti impropri interventi governativi: v., in questo sito, l'appunto "la cattiva scuola").

  • E' tuttavia da rammentare che il semplice arricchimento nozionistico, impartito con l'attuale modello di istruzione, se atto a fornire una certa base culturale generica (già peraltro estremamente carente, come si è visto), è del tutto inadeguato a dotare i discenti di uno strumentario razionale idoneo ad accedere al mondo della cognizione consapevole. Con un siffatto sistema educativo, si creano cittadini sprovvisti della capacità di formarsi un corretto giudizio - tra l'altro - anche sui temi della conduzione del Paese. Nel campo della politica, infatti, queste carenze assumono una rilevanza estrema e determinante, lasciando il cittadino in balia dei ciarlatani.

Naturalmente, di fronte ai cennati abissi di ignoranza elementare, discettare di ciò che costituirebbe la dotazione intellettuale di base atta ad orientare l'elettore nel mondo della conoscenza, può perfino apparire patetico.

E' tale, tuttavia, la rilevanza del problema, che è certo utile definirne i contorni affinché se ne acquisisca finalmente fondata coscienza.

E' noto che, per indagare sia i fenomeni reali, sia i problemi teorici e pratici, è necessario servirsi degli strumenti offerti dalla logica deduttiva, scomponendo i dati nei loro elementi primari, verificandone le interrelazioni e le concatenazioni, penetrando poi ognuno di essi onde percepirne il senso, il valore e l'appropriatezza, per arrivare infine a ricomporre l'insieme con identici o diversi fattori, uniti poi con gli stessi legami logici, o con altri ritenuti più corretti.

Questo tipo di esercizio è totalmente sconosciuto al nostro ambiente scolastico. Ne consegue che, chi esce dalla Scuola, rimane sprovveduto delle difese consentite dal possesso della logica deduttiva e del pensiero critico, e può essere facile preda (come la semplice osservazione ci conferma) della comunicazione emotiva, che fa appello a reazioni impulsive, non controllate né razionali, favorendo comportamenti e decisioni deleterie.

1.- Atteso che il discorso politico, rilevante in ragione dell' oggetto, cioè il modello sociale e la sua evoluzione, è per sua natura astratto, (non esiste un oggetto concreto che si chiami politica). Esso poi suggerisce deduzioni, ipotizza scenari, elabora e propone soluzioni, la cui valutazione può essere effettuata solo con una base culturale solida e con l'uso del pensiero astratto.

Ne deriva che, anche soltanto sulla base della ricerca dell'Ocse, meno di un terzo dell'elettorato ha una qualche idea di ciò che sta facendo quando varca la soglia del seggio elettorale.

Difatti, la capacità di astrazione, sopratutto nel suo momento selettivo, è momento ineludibile del processo conoscitivo. In sostanza, costituisce la base per capire i problemi, analizzarli, e individuarne le componenti, elaborarne e separarne configurazioni diverse, così da prefigurare parallelismi atti a definirne soluzioni idonee. Allorché si indaga con lo strumento logico, si evidenziano inferenze, sillogismi e deduzioni, si costruiscono i concetti, mattoni della conoscenza, sintesi di ogni esperienza sensibile e spiegazione unica della realtà.

A ciò si ricollega la capacità addizionale di servirsi degli elementi semplici della scomposizione per farne strumenti di approfondimento e di indagine anche di fenomeni analoghi, per consentire soluzioni logiche ulteriori e più perfezionate.

Per addentrarsi quindi nelle problematiche della politica, come del resto in qualsiasi ambito speculativo, è preliminarmente indispensabile disporre di una certa capacità di elaborazione teorica, ovvero di disporre di una capacità di pensare per concetti, padroneggiando il linguaggio della logica deduttiva, ben lontana dai facili impulsi del linguaggio emotivo.

  • Dobbiamo ribadire infatti che la semplice cultura non è sufficiente per dotarsi di una capacità di valutazione idonea a fornire solide basi decisionali. Occorre sviluppare lo strumento della logica deduttiva che consente di individuare - di volta in volta - il vero punto nodale dei problemi ed esercitare altresì le facoltà di sintesi, analisi e coordinamento, ricorrendo a classificazioni astratte. Ciò che consente una ponderata valutazione dei fatti concreti, necessaria e preliminare per condurre verso decisioni fondate e consapevoli.

Oggi, come vedremo in seguito, questa capacità risulta fortemente deprivata altresì dal predominante dilagare di un mezzo di comunicazione assorbente e assoluto: la televisione.

2.- La preminente assenza nella popolazione di questa elaborazione razionale spiega l'attuale dominante fenomeno della emotivizzazione della politica e fornisce una spiegazione all'assillante e angoscioso quesito delle disastrose scelte dell'elettorato che usualmente premia soggetti di infimo livello, che devastano il Paese in luogo di migliorarlo. Un problema facile da individuare, ma molto difficile da risolvere e che rappresenta tuttavia uno dei principali punti critici del sistema politico democratico.

Un esempio concreto aiuterà a focalizzare meglio la questione.

Si ripensi all'indecoroso spettacolo del recente confronto tra i candidati presidenziali statunitensi, Trump e Clinton, e lo si paragoni ai famosi dibattiti che, nel 1858, opponevano Lincoln ed il giudice Douglas. Mancava la televisione all'epoca e il dibattito si svolgeva essenzialmente via radio, con milioni di uditori. Ogni intervento durava fino a tre ore e mezza e altrettanto la replica. Impensabile, oggi, non tanto che qualcuno parli così a lungo, ma sopratutto che parli di contenuti, cioè dei problemi reali del Paese. Non solo, ma anche che esista un pubblico che per sette ore sia capace di rimanere davanti ad un apparecchio radiofonico, seguendo e soppesando le varie argomentazioni.

3.- Oggi, il discorso pubblico, si adatta al mezzo con il quale è sopratutto diffuso, la talevisione, e prende così la forma dello spettacolo, con tutte le sue peggiori possibili componenti (anche l'ingiuria e l'espressione plateale diventano "spettacolo").

Già Platone avvertiva che il modo di condurre un discorso, ovvero la sua forma, ha la massima influenza sulle idee (quando del caso) che si intendono comunicare.

In sostanza, la comunicazione visiva ha degradato la qualità del messaggio, privandolo dei contenuti. Lo schermo dell'apparecchio televisivo è una sorta di pulpito per chi vi appare ed i "contenuti" delle parole sono l'espressione, il tono, l'atteggiamento.

Nelle scuole di politica non si insegna tanto la politica, ma come curare l'aspetto, come vestirsi e muoversi, come studiare l'interlocutore e quale "maschera" assumere quando questi parla.

La comunicazione televisiva, traducendosi in immagini, per sfruttare questa sua caratteristica, deve essere divertente e gradevole. Quindi, breve ed elementare.

E così le idee ed i contenuti si sono adeguati, svuotandosi di significato per trasformarsi in intrattenimento.

Se Lincoln o Douglas esistessero oggi ed avessero detto le stesse cose alla televisione, l'uditorio avrebbe rapidamente cambiato canale poiché è molto difficile guardare ed elaborare razionalmente allo stesso momento: l'immagine prevale e spegne il pensiero.

Ma diverso è oggi anche il pubblico, ridotto dalla televisione ad un livello di progressivo intorpidimento, per l'abrogazione dell'intervento della ragione, che è del tutto inutile per elaborare e capire delle immagini le quali, per loro natura, richiedono solo passiva ricezione.

Come lucidamente posto in evidenza da N. Postman (Divertirsi da morire), il linguaggio percettivo fornito dalle immagini spegne la ragione e atrofizza la comprensione fornendo un prodotto confezionato, un vedere passivo, che non è conoscitivo, non suggerendo alcuna chiave astraente. Il messaggio è trasmesso con l'immagine: solo forma e nessun contenuto.

E' la notte della ragione, per chi parla e per chi ascolta.

Perfino inutile sottolineare che ciò si traduce, in ultima analisi, in una perdita di democrazia e di libertà.

4.- L'esercizio del voto postula anche che l'elettore disponga di una adeguata informazione delle cose della politica (cioè ne segua in modo costante le dinamiche) e, altresì, che sia cognitivamente competente a penetrarne le problematiche (cioè disponga di nozioni adeguate a cogliere le implicazioni delle decisioni e degli orientamenti proposti). Altrimenti deve affidarsi a ciò che gli viene raccontato: e in tal caso la qualità e consapevolezza della scelta (che è eminentemente individuale) espressa con il voto, decade paurosamente.

La percentuale di elettori informati e culturalmente attrezzati si attesterebbe, nei Paesi occidentali, ad un misero 2-3% (Sartori, Homo videns).

Nella teoria politica è d'uso affermare che l'elettore è razionale per definizione in quanto sceglie in base al proprio massimo utile.

Il problema è che si tratta della utilità percepita (Sartori): quella somministrata dalla comunicazione di massa. (E poiché i media sono monopolio di pochissimi individui, questi pochi sono in grado di formare la pubblica opinione, convincendo agevolmente le masse di benefici inesistenti (v.: Chomsky, La fabbrica del consenso), e ciò costituisce una grave minaccia alla democrazia).

Ed è noto altresì che contestualmente, determinati centri di interesse premono affinché il livello generale della cultura popolare rimanga basso e sopratutto privo della dotazione del pensiero razionale.

5.- Non è casuale che il tipico politicante medio ricorra ad un linguaggio solo istintuale, fatto di banalità, motti di spirito, fatuità, battute e futili vuotaggini. Non solo egli ritiene che tutto ciò riesca particolarmente accetto alla maggioranza del suo uditorio, il cui basso livello di istruzione non recepisce il messaggio razionale, ma - di fatto - questo tipo di messaggio gli riesce agevole in quanto costituisce il suo livello espressivo e cultural. Inoltre, come si è sottolineato, viene ad essere altresì "redditizio" in termini di percezione dell'uditorio, perché perfettamente adattato al mezzo televisivo utilizzato per diffonderlo. Il mezzo è il messaggio (McLuhan).

6.- La comunicazione politica dovrebbe invece recuperare l'uso della parola, del lògos, come veicolo di trasmissione di concetti, di contenuti semantici, propositivi, come strumento di guida del pensiero, al di fuori delle seduzioni visuali ed emotive.

La parola stimola l'impegno a seguire un ragionamento, un pensiero, impone l'uso della razionalità, dell'analisi. Respinge, di per sé, le semplici asserzioni prive di una sistemazione ordinata e razionale.

Per ricorrere ad un parallelo solo apparentemente fuori tema, non è per caso che nei sacri testi si dica: "in principio era il Verbo". Dio deve esistere nel Verbo e suo tramite. La sua divinità astratta non può tollerare rappresentazioni iconiche, una impropria materializzazione della propria identità assoluta e universale, facile veicolo di contaminazioni a base emozionale.

7.- Infine, il modello di relazioni intersoggettive, ormai da tempo insediatosi nella nostra società, determina un calo progressivo della solidarietà, del legame sociale, dei rapporti di vicinato, delle interrelazioni personali in genere, favorendo il consolidarsi nella società di uno schema mentale ostativo alla partecipazione, che rappresenta invece la base primaria per il coinvolgimento democratico.

L'auspicabile maggiore influenza della gente comune nel processo politico richiede in via primaria proprio che sia incentivata la coesione sociale.

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