di Lucia Izzo - Affinità, amore, complicità e rispetto sono elementi essenziali per una sana vita di coppia, ma tra questi non va scartato anche il sesso, che preferibilmente andrebbe vissuto come esperienza appagante e serena da entrambi.
L'importanza della sessualità nei rapporti, infatti, è emersa più volte anche in giurisprudenza: se la stessa Sacra Rota, ad esempio, si è trovata a disporre l'annullamento religioso di matrimoni che non sono stati consumati, anche la giurisprudenza civile si è pronunciata in particolare sul tema del sesso legato a separazione o divorzio, e alla contestuale addebitabilità della fine della relazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto (sentenza n. 19112/2012) che il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'articolo 143 cod. civ., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale. Ciò in quanto provoca oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner (per approfondimenti: Il rifiuto dei rapporti sessuali e l'addebito della separazione). Da qui la possibilità che al partner che rifiuti l'intimità possa essere addebitata la separazione.
Ma non è tutto. Per la Cassazione è giustificato l'abbandono del tetto coniugale se manca tra le parti intesa sessuale, cioè se il sesso non è appagante. Nella sentenza n. 8773/2012, gli Ermellini hanno confermato che non costituisce colpa, tale da addebitare la separazione al coniuge, il comportamento della moglie che, nel caso esaminato, si era allontanata dal tetto coniugale perchè non soddisfatta dal sesso con il marito.
A nulla serve per l'uomo cercare di difendersi introducendo profili di fatto insuscettibili di valutazione e controllo in Cassazione, ossia la riconducibilità alla moglie di problematiche sessuali, stante la sua grave indisponibilità e non "recettività" così da determinare essa sola la crisi della coppia.
La donna, chiarisce la Corte confermando le statuizioni di merito, con il suo atteggiamento non ha però violato alcun obbligo matrimoniale, in quanto l'abbandono della casa famigliare appariva determinato da giusta causa, debitamente comprovata e consistente nella mancata realizzazione tra le parti di una intesa sessuale "serena e appagante".