di Valeria Zeppilli - Ogni rapporto è a sé, specie quello tra genitori e figli. Con la conseguenza che non è possibile giudicare un padre, come tale, basandosi su elementi che nulla hanno a che fare con il ruolo di genitore.
Se già qualche tempo fa il Tribunale di Milano aveva chiarito a gran voce che anche un marito non esemplare può essere un buon padre (leggi: "Tribunale di Milano: non essere un buon marito non vuol dire non essere un buon padre"), oggi la Corte di appello di Roma è ancora più categorica: neanche la condizione di ex tossicodipendente e pregiudicato può incidere sui rapporti genitore/figlio.
Con la sentenza numero 2996/2016, in particolare, la Corte ha rigettato l'appello proposto da una donna avverso la decisione conclusiva del primo grado di giudizio, con la quale si era esclusa la presenza di caratteristiche negative idonee ad impedire il riconoscimento di una bambina da parte del suo padre naturale.
Alla base delle sue pretese, l'appellante faceva leva sia sui cattivi rapporti con l'uomo che sulle condotte di vita precedenti di questo, che era stato dipendente da droghe e aveva commesso alcuni piccoli reati.
Dietro il padre, che vuole costruire un rapporto con la bambina, c'è però una famiglia di origine irreprensibile, pronta ad aiutarlo. Dentro di lui, poi, c'è una volontà seria e dimostrata di crescere la piccola, un evidente pentimento per gli errori commessi oltre che un passato anche più roseo di quello segnalato dalla donna, dove spiccano la maturità classica e numerose attività lavorative e di volontariato.
Gli errori commessi, insomma, non possono creare pregiudizi sulla sua capacità di essere un buon padre. La posizione della donna, quindi, per la Corte d'appello è del tutto ingiustificata: dalla presenza anche del nucleo familiare paterno la bambina non potrebbe che ricavare un arricchimento non solo materiale ma soprattutto affettivo. Solo così il suo diritto ad entrambi i genitori per una serena ed equilibrata crescita psico-fisica può essere tutelato.