Nota di commento alla sentenza del Tar Firenze sezione 2 n. 567/2016

Avv. Francesco Pandolfi - Nel mondo armiero è risaputo che il concetto di "affidabilità" di chi aspira ad avere la licenza di porto di fucile (ad esempio ad uso caccia) è una vera e propria risorsa che, messa a disposizione dell'Autorità di P.S. rivela tutto il suo potenziale positivo o negativo.


Mi spiego meglio: è semplice per un questore mettere in dubbio i requisiti soggettivi della buona condotta e dell'affidabilità del richiedente, quando la persona ha avuto in passato qualche episodio magari connotato da implicazioni penali.


Sembra che queste disavventure (chiamiamole così) diventino un indelebile marchio a vita, così profondo da non poter essere cancellato in alcun modo.


Ma è evidente che basilari criteri di ragionevolezza, buon senso ed equilibrio in diritto non possono avallare una simile deduzione, specie quando le vicende che hanno interessato in passato la vita di quella persona siano di spessore marginale.


La buona condotta in relazione alla sicurezza


Ora, per l'Autorità di Pubblica Sicurezza parlare di "buona condotta" significa poter dire che l'interessato all'arma gode di una specchiata personalità.

In pratica, dal comportamento del soggetto non devono emergere sospetti né devono insinuarsi indizi negativi idonei ad incrinarne una sana percezione: si deve cioè essere certi che le armi verranno usate in totale sicurezza.


Il pericolo potenziale nell'uso delle armi


Il T.U.L.P.S. in materia prescrive in modo assai rigoroso che la licenza può essere ricusata a chi non riesce a dimostrare la propria buona condotta o non esprime totale affidamento. Il concetto è strettamente legato al "come" il nostro Ordinamento ha costruito la figura giuridica in esame: tutto risulta imperniato intorno al pericolo che l'utilizzo delle armi implica per forza di cose rispetto ai consociati.


La conseguenza diretta di una simile impostazione è che l'Amministrazione alla quale si presenta l'istanza per il rilascio della licenza si mostra attenta, severa, prudente, evidentemente con lo scopo di salvaguardare le esigenze di tutela del buon vivere civile.


Tutto questo ci può stare, a patto però che nelle delicate valutazioni amministrative il metro di giudizio e di analisi sia bilanciato e tenga conto del senso e del peso della storia di chi chiede la licenza.


Il giudice valuta se c'è stata corretta applicazione dei principi


Portando la propria pratica davanti al Tar territorialmente competente si avrà quindi l'accortezza (nel caso sia stata respinta l'istanza per precedenti risalenti nel tempo) di mettere in risalto la modestia di questi trascorsi che, a distanza di molti anni, non possono dispiegare alcuna ripercussione negativa sul vivere dei consociati.

Detto in altri termini: comprovare che nessun pericolo si ravvede in questi trascorsi.


La sentenza in commento ci riporta un paio di vicende passate, una relativa ad un invito formale a non fare più uso di sostanze stupefacenti (vicenda di tenore assai tenue), l'altra immediatamente successiva ed attinente ad un procedimento in materia di stupefacenti poi archiviato perché il P.M. aveva ritenuto non proficuo l'esercizio dell'azione penale.


Come si vede, circostanze del tutto marginali rispetto al contenuto dell'istanza di cui parliamo.

Motivo per il quale la Magistratura ha accolto il ricorso proposto per l'annullamento del decreto del Questore di respingimento dell'istanza di rilascio della licenza di porto di fucile ad uso caccia.


Cosa fare in casi analoghi?


Nel ricorso evidenziare l'eccesso di potere e la carenza di adeguata istruttoria da parte dell'Amministrazione.



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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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