di Lucia Izzo - Il danno morale, quale lesione della dignità umana, assume specifico e autonomo rilievo nell'ambito della composita categoria del danno non patrimoniale, anche laddove la sofferenza interiore non degenera in danno biologico o in danno esistenziale.
Pertanto, non può liquidarsi il danno morale attraverso meccanismi semplificativi di tipo automatico, ad esempio come misura pari ad una frazione dell'importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale, che impediscono di vagliare l'iter logico con cui il giudice ha personalizzato il risarcimento.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 21782/2015 pubblicata il 27 ottobre scorso.
Nelle oltre 50 pagine della sentenza, la Suprema Corte, esamina la vicenda riguardante un uomo che aveva subito l'asportazione di un neo in zona ascellare la cui natura benigna riscontrata dai medici veniva, in un successivo controllo presso l'Istituto Nazionale per la cura dei tumori di Milano, diagnosticata come melanoma.
Numerosi gli interventi chirurgici subiti, nonché le spese sostenute per recarsi all'estero e sottoporsi ad una terapia sperimentale e ad altre necessarie operazioni.
Tra le doglianze sollevate, il ricorrente lamenta l'erronea liquidazione del danno morale, avvenuta adottando meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico, inidonei a far comprendere la congruità e l'adeguatezza della risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana.
Nel provvedimento in esame, gli Ermellini trattano con estrema accuratezza la tematica del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, rammentando che tutti gli aspetti (o voci) di questa seconda tipologia, in quanto sussistenti e provati, devono essere risarciti e nessuno lasciato privo di ristoro.
Il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale, non può impedire al giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità in cui il pregiudizio non economico si atteggia nel singolo caso concreto, poiché è sempre necessaria la personalizzazione della liquidazione.
Per la responsabilità civile da circolazione stradale si è raggiunta una valida soluzione con l'adozione del sistema delle tabelle, con preferenza per quelle milanesi che nel tempo hanno assunto una "vocazione nazionale" poiché recanti i parametri maggioramene idonei a tradurre il concetto dell'equità valutativa evitando ingiustificate disparità di trattamento.
Ma il richiamo all'equità, tuttavia, non può tradursi in arbitrio poiché il giudice di merito dovrà congruamente motivare la sua decisione e scandire tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si manifesta nel caso concreto, nonostante alla fine giunga eventualmente alla "somma degli addendi" nella liquidazione integrale del pregiudizio.
La liquidazione in misura pari ad una frazione dell'importo è errata poiché inidonea a rendere evidente e controllabile l'iter logico seguito dal giudice e per stabilire se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, per poter considerare la congruità e l'adeguatezza della risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana.
Nel caso di specie, la corte di merito ha disatteso tali principi pervenendo ad un'apodittica quantificazione del danno non patrimoniale in misura pari al 10% "adeguatamente rappresentativa dell'entità del danno subito" e ritenendo il danno unitariamente liquidato in tutte le sue componenti in via necessariamente equitativa senza dare conto dei criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato.
Ugualmente errato l'aver ritenuto che la maggiore gravosità della prestazione lavorativa svolta dal ricorrente (magistrato) non potesse essere autonomamente risarcibile, trattandosi di riduzione della capacita lavorativa generica già compresa nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Accolto il ricorso, la decisione passa al giudice del rinvio.