Nella fattispecie la corte d'appello aveva considerato come ragionevole una durata di nove anni

La Cassazione è stata chiara: se il fallimento dura più di cinque anni lo Stato deve risarcire il danno. Nei casi in cui sorgano particolari difficoltà si può tutt'al più arrivare a sette anni. Ma superati questi limiti scatta il diritto al risarcimento del danno ai sensi della legge Pinto (legge n.89 del 2001)

Come si legge nella sentenza della corte di cassazione (la n. 10233/15 del 19 maggio qui sotto allegata), la Corte d'appello, aveva considerato come ragionevole una durata di nove anni in considerazione della complessità della procedura e si limitava quindi liquidare ai ricorrenti il danno solo in relazione agli anni successivi.


I ricorrenti nel ricorso per Cassazione evidenziavano come la corte di appello avesse determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare in nove anni, "in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la detta durata può essere al massimo di sette anni".


La suprema corte ha accolto il ricorso richiamando anche un precedente giurisprudenziale (la sentenza n. 8468 del 2012)  in cui si era già chiarito  che "la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso". 


Ma, rimarca la corte, si può parlare di complessità solo nei casi in cui si è in presenza di un numero elevato di creditori o nel caso di "di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.)"  oppure ancora, nel caso di una "proliferazione di giudizi connessi alla procedura".

Qui di seguito il testo integrale della sentenza.

Cassazione Civile, testo sentenza 10233/2015

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