La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4462 del 25 febbraio 2014, ha ribadito, come da consolidata giurisprudenza di legittimità, che "i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata certamente non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante."

In particolare - si legge nella sentenza - per quanto concerne la verità di dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando l'onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade".  

Nel caso di specie una società ricorre contro la pronuncia della Commissione tributaria regionale aveva rigettato l'appello, proposto dalla Società nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia con cui la Commissione tributaria provinciale aveva solo parzialmente accolto il ricorso della predetta società contro l'avviso di irrogazione di sanzioni relative all'omessa registrazione sui libri paga e matricola di una dipendente.

Nello specifico la Società ricorrente prospetta "violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2700, 2727 e 2729 c.c., anche in riferimento all'art. 24 Cost., non avendo i giudici di merito confermato anche sul punto della data di assunzione della lavoratrice quanto emerso dal verbale di accertamento ispettivo dell'INPS:  in tal modo hanno trascurato che i verbali ispettivi o formano piena prova relativamente all'intero accertamento o non lo sono per nulla, a maggior ragione quando il datore di lavoro vi abbia fatto acquiescenza

senza riserve, come nel caso in esame". 

La Suprema Corte, ritenendo infondato il motivo, ha affermato che "sussistendo soltanto nei limiti anzidetti l'idoneità probatoria dei verbali ispettivi, non può pretendersi - contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente - che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali debbano essere accolte o disattese nella loro interezza, senza alcuna possibilità di quel differenziato vaglio critico da parte del giudice che, invece, è stato compiuto in prime cure (circa la decorrenza dell'assunzione) e confermato dall'impugnata sentenza".



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