di Antonella Aloia - In materia di rapporti di agenzia, si sviluppano interessanti questioni circa l'individuazione del giudice competente al quale rivolgere la domanda in caso di controversie: quando trova applicazione il rito del lavoro ex artt. 409 e ss. c.p.c.? In primo luogo, occorre chiarire che, ai sensi dell'art. 1742, primo comma: "col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata". Elementi essenziali sono dunque la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando così una non episodica collaborazione professionale autonoma, con il conseguente obbligo di osservare le istruzioni ricevute dal preponente medesimo (Cass., sez. lav. 24 giugno 2005, n. 13629). Dunque l'attività dell'agente si configura quale attività di promozione per la conclusione di contratti in una o più zone determinate, a differenza dell'attività del rappresentante finalizzata perlopiù a concludere contratti in una o più zone determinate. Ora, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., ai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato, trova applicazione il rito del lavoro. Pertanto, ai fini della individuazione del giudice competente, occorre distinguere se il rapporto di agenzia si sia svolto mediante un'organizzazione di lavoro a carattere prevalentemente personale ed autonomo ovvero mediante un'organizzazione di prevalente lavoro altrui e dunque imprenditoriale.

Nel primo caso competente è il giudice del lavoro; nel secondo, la competenza sarà del giudice ordinario in quanto l'attività personale dell'agente non è prevalente. Difatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia di contratti di agenzia competente è il giudice del lavoro qualora l'attività di collaborazione sia coordinata e continuativa e venga svolta quanto meno in misura prevalente con il lavoro personale dell'agente; tale requisito manca, con conseguente insussistenza della competenza del giudice del lavoro, nel caso in cui la controversia
riguardi un siffatto rapporto di collaborazione nel quale però l'attività del collaboratore sia esercitata da una società, anche se di persone o irregolare ovvero di fatto poiché, in tal caso, l'attività medesima non è riferibile a persone fisiche e, quindi, non riveste così come richiesto dall'art. 409, n. 3, c.p.c. carattere prevalentemente personale (Cass., 28 dicembre 2006, n. 27576; Cass., 19 aprile 2011, n. 8940). A ciò si aggiunga che, in ossequio all'art. 1, L. 128/1992, per le controversie di cui sopra, è competente territorialmente il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente o del rappresentante di commercio.
Antonella Aloia

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