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Discrimina gli extracomunitari il comune che chiede i redditi per la residenza

Per la Cassazione, è discriminatoria la condotta del Comune che nega l'iscrizione anagrafica agli extracomunitari per motivi reddituali, sociali o sanitari, ma non lo è se nega l'aiuto per mancanza di risorse


di Annamaria Villafrate - La Corte di Cassazione nella sentenza n. 10095/2020 (sotto allegata) con cui respinge il ricorso di due cittadini del Marocco, precisa che è sacrosanto il diritto all'iscrizione anagrafica e il conseguente status di residenza perché diritto soggettivo perfetto. E' quindi discriminatoria la condotta del Comune che rigetta detta richiesta per ragioni sociali ed economiche dei richiedenti. Non integra invece condotta discriminatoria negare l'aiuto economico a una famiglia straniera numerosa, per carenza di risorse.

Richiesta danni per condotta discriminatoria di un Comune

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Due cittadini del Marocco con due ricorsi distinti domandavano al Tribunale di Lecce di accertare le condotte discriminatorie tenute da un Comune veronese nei loro confronti e dei loro familiari e il riconoscimento dei danni conseguentemente subiti. I ricorrenti raccontano di essersi trasferiti in un Comune della provincia di Verona perché disoccupati e con problemi economici, di aver stipulato un contratto di locazione e di aver fatto domanda per l'iscrizione anagrafica.

Uno dei due ricorrenti riferisce di essere stato contattato direttamente dal Sindaco del predetto Comune, il quale gli ha riferito di considerare inammissibile la presenza all'interno del suo ente di una famiglia in situazioni economiche così precarie e bisognosa di aiuti da parte dei servizi sociali.

Per rispettare la volontà del Sindaco uno dei due ricorrenti decide quindi di recedere dal contratto anche perché il Sindaco gli ha promesso di "fargli la guerra".

Raccontano poi che nel gennaio 2013 incontravano personalmente il Sindaco, contrario alla loro presenza nel territorio dell'ente perché la famiglia beneficiava di un aiuto dal Comune di provenienza, che quello da lui amministrato non era in grado di erogare per mancanza di risorse.

Ai ricorrenti il Sindaco offriva, per farli tornare nel paese di provenienza, un rimborso spese di 1600 euro, che però venivano corrisposi concretamente dal parroco locale. A una familiare dei due stranieri veniva chiesto inoltre di firmare una dichiarazione in cui manifestava l'intenzione di tornare nel comune di provenienza per i costi elevati del trasporto e le scarse condizioni igieniche dell'alloggio in affitto, tanto che il contratto veniva risolto a fine gennaio 2013.

Il Tribunale di Lecce rigetta le domande avanzate perché i ricorrenti

Per il Giudice dell'Appello la condotta discriminatoria è assente

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A questo punto i due cittadini marocchini appellano la decisione di primo grado, ma anche in sede di gravame le loro richieste vengono respinte. La Corte, pur ammettendo l'utilizzo nel corso dell'istruttoria delle registrazioni aventi ad oggetto in particolare un conversazione intercorsa con il Sindaco, non ha desunto dalla stessa la condotta discriminatoria lamentata, perché priva di contenuti e riferimenti razziali o di nazionalità, in essa infatti il vice sindaco riferisce solo delle difficoltà economiche del Comune a fare fronte alle loro necessità per carenza di risorse.

Il ricorso in Cassazione: condotte discriminatorie

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I soccombenti a questo punto ricorrono in Cassazione sollevando 5 motivi di doglianza.

  1. Con il primo fanno presente che l'art. 43 del dlgs n. 286/1998 sanziona le condotte discriminatorie sulla base degli effetti lesivi subiti dal soggetto passivo, senza che assumano rilievo le ragioni del soggetto agente. A rilevare insomma non sono le intenzioni del soggetto agente, ma la percezione del soggetto vittima della discriminazione.
  2. Con il secondo fanno presente che ai sensi dell'art. 28 del dlgs n. 150/2011 non spetta, a chi subisce, provare il carattere discriminatorio delle condotte altrui, ma spetta al soggetto a cui tali condotte sono attribuite dimostrarne il carattere non discriminatorio.
  3. Con il terzo contestano l'omissione di un fatto decisivo, ovvero la frapposizione di ostacoli da parte del Comune all'iscrizione anagrafica della famiglia dei ricorrenti, consistenti nelle richieste delle condizioni reddituali, lavorative, familiari e igienico sanitarie degli immobili occupati.
  4. Con il quarto lamentano la violazione degli artt. 2 e 3 Costituzione perché la Corte d'Appello ha concentrato la propria attenzione sull'aspetto discriminatorio basato sulla razza, trascurando gli altri aspetti di natura natura patrimoniale e sociale.
  5. Con il quinto infine lamentano la revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio da parte della Corte d'Appello in violazione dell'art. 136 d.p.r n. 115/2002.

Razzista negare l'iscrizione per motivi sociali o di reddito

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10095/2020 rigetta i ricorsi dei ricorrenti per le motivazioni che si vanno ad esporre.

Data: 30/05/2020 16:00:00
Autore: Annamaria Villafrate