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Avvocati: nessun reato se il cliente si “appropria” del denaro per le spese legali

Anche dopo la riforma forense non commette appropriazione indebita il cliente, vincitore della causa, che nega al legale la somma liquidata per le spese legali


di Marina Crisafi – Non commette nessun reato il cliente che ha vinto lacausa e si rifiuta di dare al proprio legale l'importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali. Anche aseguito della riforma della legge professionale, infatti, il legale vanta soloun credito nei confronti del cliente ma il denaro spetta allo stesso qualevincitore della causa.

Lo ha sancito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n.20606/2015 depositata poche ore fa (e quisotto allegata), escludendo la condanna di un uomo imputato per il reato dicui all'art. 646 c.p. nei confrontidel proprio difensore, per aver indebitamente trattenuto la somma allo stessospettante a titolo di onorari per l'attività prestata in una transazione.

Disattendendo le conclusioni del procuratore della repubblica del tribunaledi Siena, la S.C. ha dato ragione all'imputato il quale adduceva l'assenzadegli elementi necessari per integrare il reato di appropriazione indebita nelcaso in cui la parte vincitrice dellacausa civile a cui favore il giudice ha liquidato una somma a titolo dispese legali si rifiuti di consegnarlaal proprio avvocato, nonché del difetto dell'”altruità” della cosa vistoche, nel caso di specie, l'assegno era stato inviato dalla società soccombentedirettamente all'indagato.

Per piazza Cavour il motivo èfondato.

Anche se la riforma forense (art- 13, comma 8, l. n. 247/2012) stabilisceche “le parti sono solidalmente tenute alpagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocaticostituiti che hanno prestato la loro attività professionale”, si trattapur sempre di un'obbligazione e non diun diritto reale.

Sbaglia pertanto il tribunale ad interpretare la norma suddetta nel sensoche la somma sarebbe di proprietà del difensore, il quale invece non poteva “accampare nessun dirittopotendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella perl'opera professionale svolta”. In ragione, cioè, del rapporto di mandato che sorge tra l'avvocato e il proprio cliente.

Inoltre, hanno ricordato i giudici del Palazzaccio, l'avvocato ha due modiper ottenere il pagamento dei propri compensi: direttamente dal cliente e ciò indipendentemente da quantoliquidato dal giudice in sentenza (e quindi anche, in ipotesi, con sommesuperiori o minori) o dalla partesoccombente, ex art. 93 c.p.c. che disciplina la fattispecie delladistrazione.

Il cliente, dunque, è tenuto a pagare la parcella ma la somma riconosciutaall'esito della transazione resta di suaproprietà e non esiste nessun“vincolo di destinazione” in favore dell'avvocato, come affermatoerroneamente dal procuratore. Per cui il titolo in virtù del quale l'imputatoha trattenuto il denaro è legittimo enon c'è appropriazione indebita. Risultato: annullati senza rinvio sia l'ordinanzaimpugnata che il sequestro probatoriodella somma liquidata. All'avvocato non resta, perciò, che recuperare gli oltre 10mila euro attraverso il pagamento dellaparcella.

Data: 19/05/2015 18:35:00
Autore: Marina Crisafi