di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 9200 del 23 Aprile 2014. E' onere del danneggiato o, come nel caso di specie, dei suoi eredi, dimostrare la sussistenza di nesso causale tra patologia incorsa (infarto cardiaco che ha determinato la morte del dipendente di una nota casa automobilistica italiana) e l'attività lavorativa. 

Secondo gli eredi il decesso sarebbe stato determinato dallo stress derivante dal rilevante carico di lavoro cui il familiare era periodicamente sottoposto. Per il giudice del merito, gli eredi non avrebbero però soddisfatto l'onere della prova, oltre al fatto che lo stress da lavoro lamentato sarebbe stato circoscritto ad un lasso temporale di pochi mesi, inidoneo a far sorgere quella determinata patologia. Lasso temporale comunque molto distante rispetto al momento specifico in cui si è verificato l'evento della morte. Avverso tale sentenza ricorrono in Cassazione gli eredi lamentando violazione di legge e vizio di motivazione.

Tra il periodo di presunto superlavoro e l'infarto cardiaco sarebbero decorsi più di due anni; tale circostanza è stata accertata in corso di causa, mentre resta il fatto che i ricorrenti, anche a mezzo di testimoni, non sono riusciti a fornire prova incontrovertibile del nesso causale tra condotta mantenuta ed evento dannoso. Secondo la Cassazione, inoltre, i ricorrenti avrebbero formulato nuovamente quesiti attinenti al merito, incorrendo in indebita duplicazione degli stessi, senza tener conto che il giudice di legittimità può pronunciarsi soltanto su vizi specifici (violazione di legge, carenza o irragionevolezza della motivazione) i quali non devono derivare soltanto dalla denominazione formale degli stessi, ma anche e soprattutto dal contenuto del ricorso. Esso viene dunque rigettato.


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