Con la sentenza n. 7309 del 28 Marzo 2014, la Corte di Cassazione SS.UU ha stabilito che il giudice, che nell'esercizio delle proprie funzioni utilizzi in udienza espressioni irriguardose o di disprezzo nei confronti delle parti in causa, è passibile di sanzione disciplinare per violazione del dovere di correttezza. 

Nel caso di specie il procedimento disciplinare era stato aperto nei confronti di un magistrato del Tribunale dei Minorenni di Roma, accusato di essersi rivolto con termini inadeguati ad una psicologa durante un'udienza svoltasi nel 2011.

Le espressioni "Lei non sa fare il suo lavoro" e l'esplicita accusa di essere connivente con gli enti territoriali, sono state giudicate del tutto inammissibili e al di fuori di un corretto esercizio dell'attività giurisdizionale.

E il fatto che la condotta fosse stata originata da una discussione vivace e appassionata non ha agito da elemento "scriminante".

Ecco il testo della sentenza:

Corte di Cassazione, sezioni Unite Civili, sentenza n. 7309/2014

Svolgimento del processo 

In seguito a segnalazione del Presidente del Tribunale dei Minorenni di Roma, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione promuoveva azione disciplinare nei confronti di I.R. , magistrato in servizio presso il medesimo ufficio giudiziario, con riferimento al comportamento scorretto che avrebbe tenuto nei confronti del personale del Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia del Comune di Roma, e segnatamente di D.R.E. , alla quale nel corso dell'udienza del 26.5.2011 avrebbe rivolto espressioni insolenti e di disprezzo, a seguito di una relazione da lei predisposta. 

Nel corso dell'interrogatorio veniva poi contestato allo stesso I. analoga scorrettezza comportamentale che avrebbe posto in essere nell'udienza dell'1.3.2011 nei confronti di G.E. , intervenuta nella qualità di tutore di minore, cui avrebbe addebitato il fatto di non conoscere il suo lavoro e di operare in collusione con i servizi territoriali. 

L'incolpato contestava la fondatezza degli addebiti con argomentazioni non condivise dal Procuratore Generale, che conseguentemente sollecitava la fissazione dell'udienza di discussione. 

All'esito dell'istruttoria dibattimentale la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore dichiarava I. responsabile dell'illecito addebitatogli, e per l'effetto gli infliggeva la sanzione della censura. In particolare il giudicante disattendeva l'eccezione di nullità della contestazione, dedotta sotto il profilo dell'originario mancato riferimento all'episodio dell'1.3.2011, stimava che il quadro probatorio fornisse "ampia dimostrazione delle intemperanze non solo verbali e dell'atteggiamento irrispettoso e oltremodo scorretto dell'incolpato nei confronti del personale dei servizi sociali", riteneva infine che il detto comportamento non fosse giustificabile e fosse invece espressione di un non corretto esercizio dell'attività giurisdizionale. 

Avverso la decisione I. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non resistevano gli intimati. 

La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 24.2.2014. 

Motivi della decisione 

Con il motivi di impugnazione il ricorrente ha rispettivamente denunciato: 

1) violazione di legge, in relazione al fatto che la contestazione originaria aveva ad oggetto unicamente l'episodio del 26.5.2011 e l'estensione della incolpazione era stata effettuata soltanto nel corso della sua audizione, con la consegna di apposita nota. Inoltre sarebbe stata ravvisabile un'ulteriore violazione (art. 15, comma 4, d.lgs. 109/2006) poiché il Procuratore Generale avrebbe avuto notizia del secondo episodio il 5.10.2011, ma avrebbe informato esso ricorrente due mesi dopo, vale a dire quando era già decorso il termine di trenta giorni normativamente previsto; 

2) vizio di motivazione, poiché "il quadro accusatorio che emerge dall'esposto della Dott.ssa D.R. non trova piena corrispondenza nella deposizione dei testi", mentre il dato che sarebbe incontestabilmente emerso sarebbe individuabile nella delicatezza delle questioni trattate (i due procedimenti rispettivamente riguardavano - quello dell'udienza del 26.5.2011 - la dichiarazione di adottabilità di tre minori e - quello dell'1.3.2011 - l'inottemperanza da parte del tutore di un minore all'ordine di reinserimento nella famiglia emesso dal tribunale) e nella vivacità della discussione conseguente. 

L'oggettiva incertezza in ordine ai fatti accaduti, l'assenza di gravità nella condotta posta in essere, l'omessa valutazione della detta condotta "alla luce della professionalità del magistrato", l'esistenza di giustificazioni oggettive (complessità delle controversie) e soggettive (morte di una collega a seguito di incidente stradale) con riferimento alla conduzione dell'udienza del 26.5.2011, la scarsa rilevanza complessiva del fatto avrebbero dunque dovuto indurre la Sezione disciplinare ad emettere sentenza ampiamente liberatoria. 

Osserva il Collegio che il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo, la censura ivi formulata è articolata in un duplice profilo, vale a dire: a) per l'indebita estensione dell'incolpazione, intervenuta nel corso dell'interrogatorio disposto con riferimento alla prima contestazione; per la tardiva comunicazione del secondo addebito, in quanto effettuata due mesi dopo l'acquisizione della notizia da parte del Procuratore Generale (e più precisamente il 5.10.2011), e ciò in contrasto con l'art. 15 del citato decreto legislativo, che stabilisce per l'espletamento del detto incombente il più breve termine di trenta giorni. 

Entrambi i profili di doglianza sono tuttavia privi di pregio, atteso che la Sezione Disciplinare ha da una parte evidenziato come la formulazione dell'incolpazione avvenga al termine dell'indagine (circostanza da cui implicitamente discenderebbe l'insussistenza della pretesa lesione) ed ha dall'altra precisato che non sarebbe comunque configurabile una violazione del diritto di difesa, poiché l'incolpato avrebbe avuto modo di far valere convenientemente le sue ragioni, rilievi che risultano correttamente formulati e che in ogni modo non sono stati contestati con il motivo di impugnazione. 

Quanto poi all'ulteriore aspetto, concernente la sollecitata declaratoria di nullità degli atti di indagine per effetto della tardiva contestazione del secondo addebito, la doglianza risulta innanzitutto nuova, posto che non ne è fatto alcun cenno nella sentenza impugnata ed il ricorrente non ha indicato le modalità ed i tempi della relativa deduzione. 

Nel merito comunque il vizio appare insussistente, perché la tardiva contestazione non comporta di per sé la nullità degli atti di indagine e la conseguente estinzione del procedimento - che quindi può astrattamente proseguire (C. 08/28046) -, mentre la riscontrata irregolarità sarebbe in ogni modo sanata, non essendo stata sollevata alcuna eccezione al riguardo nel termine di dieci giorni normativamente previsto. 

È analogamente inconsistente, come detto, il secondo motivo di impugnazione, con il quale I. ha denunciato un difetto di motivazione nella sentenza che ne ha affermato la colpevolezza. 

Il detto difetto non è infatti nel concreto configurabile in quanto la Sezione Disciplinare ha dato sufficiente ragione della decisione adottata, mentre la doglianza del ricorrente è all'evidenza focalizzata sulla non condivisione dell'apprezzamento degli elementi probatori acquisiti da parte del giudice del merito, anziché sull'indicazione degli errori da quest'ultimo asseritamente commessi. 

La Sezione Disciplinare ha infatti premesso che i fatti materiali ascritti sono stati oggetto di attenta ricostruzione e di vaglio; che il quadro probatorio emerso nel corso dell'indagine preliminare è stato arricchito dall'istruttoria dibattimentale; che nell'udienza del 26.5.2011 la psicologa D.R. era stata aggredita verbalmente dall'incolpato, che aveva anche preannunciato un'attivazione finalizzata a farla sollevare dall'incarico; che le stesse intemperanze si sarebbero manifestate nei confronti della dipendente del Comune Gazzaneo; che ulteriori riscontri sarebbero emersi in relazione alle indicazioni di altri soggetti al corrente dei fatti (B. e G.). 

Sulla base di tale accertamento in fatto la Sezione Disciplinare ha quindi ritenuto oggettivamente gravi i due episodi contestati, in quanto in contrasto con il dovere di correttezza che il giudice deve rispettare nell'esercizio delle funzioni, gravità non attenuata dalle particolari situazioni soggettive dallo stesso rappresentate o dalla professionalità precedentemente manifestata nello svolgimento delle attività di ufficio. 

Si tratta dunque di valutazione di merito adeguatamente motivata, contrastata come detto sul piano della non condivisione del giudizio formulato dall'organo giudicante, e pertanto non sindacabile in questa sede di legittimità. 

Nulla va infine disposto in ordine alle spese processuali, poiché gli intimati non hanno svolto attività difensiva. 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso. 


Foto: giudice sentenza martello
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