Per la Consulta, i corsi universitari in lingua straniera rafforzano l'internazionalizzazione

Avv. Luisa Foti - La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, co. 2 della legge n. 240 del 2012 nella parte in cui consente l'attivazione generalizzata ed "esclusiva" (cioè con l'esclusione dell'italiano) di corsi di studio universitario e di dottorati in lingua straniera. La sentenza (n. 42/2017) trae origine da una delibera del Politecnico di Milano che, dalla legge 240/2012, aveva ricavato la possibilità di istituire corsi di studio in lingua straniera con l'esclusione dell'italiano. Era stata così impugnata la delibera davanti al giudice amministrativo ed era stato poi il Consiglio di Stato ad investire la Consulta della questione, per la presunta violazione degli artt. 3, 6, 33 Cost.

La disposizione sospettata di essere costituzionalmente illegittima, nell'indicare i vincoli e i criteri direttivi che le università devono osservare in sede di modifica dei propri statuti, prevede il "rafforzamento dell'internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera".

Nella parte motiva della sentenza, il giudice delle leggi ha spiegato che "della disposizione censurata nel presente giudizio è ben possibile dare una lettura costituzionalmente orientata, tale da contemperare le esigenze sottese alla internazionalizzazione - voluta dal legislatore e perseguibile, in attuazione della loro autonomia costituzionalmente garantita, dagli atenei - con i principî di cui agli artt. 3, 6, 33 e 34 Cost.".

La Corte ha spiegato che, mentre l'attivazione generalizzata di corsi di studio interamente in lingua straniera, sarebbe incompatibile con la Costituzione, non può ritenersi preclusa, attraverso la lettura dei principi costituzionali suindicati, "la facoltà, per gli atenei che lo ritengano opportuno, di affiancare all'erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della specificità di determinati settori scientifico-disciplinari.

È, questa, una opzione ermeneutica che rientra certamente tra quelle consentite dal portato semantico dell'art. 2, comma 2, lettera l), della legge n. 240 del 2010 - nel cui testo non compare, del resto, alcun riferimento al carattere di esclusività dei corsi in lingua straniera - e che evita l'insorgere dell'antinomia normativa con i più volte evocati principi costituzionali: una offerta formativa che preveda che taluni corsi siano tenuti tanto in lingua italiana quanto in lingua straniera non li comprime affatto, né tantomeno li sacrifica, consentendo, allo stesso tempo, il perseguimento dell'obiettivo dell'internazionalizzazione" ha spiegato la Consulta, rigettando la questione proposta dai giudici della sesta sezione giurisdizionale di Palazzo Spada.

"La disposizione qui scrutinata, a dimostrazione di come l'internazionalizzazione sia obiettivo in vario modo perseguibile e, comunque sia, da perseguire, consente altresì l'erogazione di singoli insegnamenti in lingua straniera. Solo con un eccesso di formalismo e di severità potrebbe affermarsi che, anche con riferimento a questi ultimi, i principî costituzionali di cui agli artt. 3, 6, 33 e 34 Cost. impongano agli atenei di erogarli a condizione che ve ne sia uno corrispondente in lingua italiana. È ragionevole invece che, in considerazione delle peculiarità e delle specificità dei singoli insegnamenti, le università possano, nell'ambito della propria autonomia, scegliere di attivarli anche esclusivamente in lingua straniera. Va da sé che, perché questa facoltà offerta dal legislatore non diventi elusiva dei principî costituzionali, gli atenei debbono farvi ricorso secondo ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, così da garantire pur sempre una complessiva offerta formativa che sia rispettosa del primato della lingua italiana, così come del principio d'eguaglianza, del diritto all'istruzione e della libertà d'insegnamento". 


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