A nulla vale per la Cassazione la depressione o la disoccupazione dell'uomo. L'impossibilità di far fronte gli obblighi familiari deve essere assoluta

di Marina Crisafi - La depressone o la disoccupazione non salvano il padre che viola gli obblighi di assistenza verso la figlia minore dalla condanna per il delitto di cui all'art. 570 c.p. Per escludere la responsabilità, infatti, "l'impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati" dalla disposizione penale "deve essere assoluta e costituire una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti". Ad affermarlo è la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 12283/2016 depositata ieri (qui sotto allegata), respingendo il ricorso di un padre condannato nel merito per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria bambina, non corrispondendo, contravvenendo così a quanto impostogli dal tribunale, le 400 euro mensili e il 50% delle spese scolastiche, mediche e ricreative.

A nulla valgono le doglianze dell'uomo, secondo il quale la corte territoriale avrebbe trascurato le risultanze probatorie da cui emergevano le sue condizioni economiche e di salute, nonché i seppur parziali contributi al mantenimento della bambina.

Per gli Ermellini, infatti, per sottrarsi alla sua responsabilità l'imputato aveva "l'onere di allegare gli elementi dai quali - potesse - desumersi la sua impossibilità di adempiere alla obbligazione" e non già la mera dimostrazione di una "flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà".

Nel caso di specie, invece, come correttamente evidenziato dalla corte distrettuale il ricorrente è risultato "uomo giovane e sano (meramente asserita risulta la depressione che lo avrebbe colto)" e le "contenute dazioni (peraltro non provate) di denaro o altri beni alla figlia non integrerebbero comunque l'adempimento richiesto". Né tanto meno sono stati ritenuti sussistenti elementi di valutazione positiva, considerato che l'imputato "ha pressochè ignorato la figlia non corrispondendo mai nulla per lei".

Per cui ricorso rigettato e condanna confermata a 3 mesi di reclusione e 400 euro di multa.

Cassazione, sentenza n. 12283/2016

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