La Cassazione afferma la prescrizione decennale per i danni iure proprio derivanti dalla morte del genitore

di Lucia Izzo - In tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, per l'unicità dell'evento lesivo consistente nella lesione dell'integrità fisica, vi è la presunzione di responsabilità del Ministero della salute per il contagio verificatosi negli anni tra il 1979 e il 1989, stante l'avvenuta scoperta scientifica della prevedibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978, con il conseguente obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico, presunzione che può essere vinta solo se viene fornita dallo stesso Ministero la prova dell'adozione di condotte e misure necessarie per evitare la contagiosità, a prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica. 


Lo precisa la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 20934/2015 (qui sotto allegata), in accoglimento del ricorso presentato dai figli di una coppia morta per AIDS. 

Il padre, sottoposto a trasfusioni nel periodo aprile-maggio 1985, contraeva un'infezione da virus HIV che ne determinava il decesso nell'anno 1987; seguiva poi il decesso della madre nell'anno 1996, dopo essere stata infettata dal marito. 


I figli quell'anno avanzarono domanda di risarcimento dei danni loro spettanti sia iure hereditatis che iure proprio, ma i giudici di merito rigettavano la domanda ritenendo prescritto il diritto quanto alla morte del padre e ritenendo non provato il nesso di causa fra l'illecito omissivo ascritto al Ministero e la morte della madre. 

I giudici assumevano che lo stato delle conoscenze scientifiche all'epoca della trasfusione praticata al marito avrebbe consentito di prevedere e prevenire la possibilità di contagio. 


Per gli Ermellini, invece, la responsabilità del Ministero si presume per il contagio avvenuto tra il 1979 e il 1989 e tale presunzione è superabile solo se risultano forniti elementi idonei

In caso contrario sussiste un nesso causale giuridicamente rilevante fra l'omissione dei controlli e il contagio e, più in generale, degli elementi necessari a configurare una responsabilità risarcitoria a carico del Ministero. 


Per quanto riguarda la prescrizione, i giudici di Cassazione non condividono quanto disposto dai giudici di merito circa la collocazione dell'exordium praescriptionis alla data del decesso dell'uomo.

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da malattie contratte per emotrasfusioni, decorre dal momento in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. 


Se mancano elementi concreti che consentono di percepire già all'epoca del decesso il rapporto tra trasfusione e contagio, non può ritenersi ragionevole anticipare la raggiunta consapevolezza del rapporto di derivazione del contagio dall'emotrasfusione ad un momento anteriore alla presentazione della domanda di indennizzo ex L. 210/1992, che attesta invece l'esistenza in capo all'interessato di una sufficiente ed adeguata percezione dell'origine della malattia. 


Il dies a quo va dunque collocato nell'anno 1996 ed in tal caso resta ferma l'affermata prescrizione delle pretese risarcitorie fatte valere iure hereditatis (soggette a termine quinquennale) ma non risultano invece prescritte le pretese avanzate dagli attori iure proprio per i pregiudizi patiti a seguito del decesso del padre poiché, derivando da illecito configurante il reato di omicidio colposo, va applicato il maggior termine decennale. 

Cass., III civile, sent. 20934/2015

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