La mancanza di un forte contrasto fra le parti e le ragioni di mera opportunità non sono motivi sufficienti per compensare le spese processuali fra le parti. E' qanto spiega la Corte di cassazione (sentenza n. 26466 depositata il 9 dicembre 2011). Gli Ermellini, confermando il più recente orientamento sul punto (secondo il quale il vizio di violazione di legge dell'art. 92, II comma, c.p.c., denunciabile e sindacabile in sede di legittimità, sussiste qualora la decisione di compensazione delle spese sia giustificata da generici motivi di equità e di opportunità (Cass., ord. 5 gennaio 2011, n. 247; Cass. 24 aprile 2010, n. 9845), hanno spiegato infatti che le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, se la decisione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ai sensi del citato art. 92 cod. proc. civ. sia accompagnata dall'indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o l'evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto.
Pertanto, pur essendo la statuizione sulle spese processuali, quale espressione di un potere discrezionale attribuito al dalla legge, incensurabile in sede di legittimità, essa diventa sindacabile dalla Suprema Corte qualora risulti violato il principio di cui all'art. 92 c.p.c. "In applicazione di detti principi - ha concluso la Corte riferendosi al caso di specie - il riferimento a generici e non meglio evidenziati "motivi di opportunità" è di per sé scorretto, mentre quello alla "assenza di posizioni di netto contrasto", è erroneo", se non pure illogico o contraddittorio".
Consulta testo sentenza n. 26466/2011

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