Il commissario liquidatore che, durante la procedura di vendita dei beni compresi nella liquidazione coatta amministrativa, induce gli acquirenti a rilasciargli una fattura di acquisto più bassa rispetto al prezzo effettivamente versato, rischia la condanna per concussione.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 18732/2008) precisando che, "il commissario liquidatore nominato ai sensi dell'art. 198 L. Fall., che, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale, induce l'acquirente di beni compresi nella liquidazione coatta amministrativa a rilasciargli indebitamente una fattura
di importo inferiore al prezzo effettivamente pagato al fine di documentare la ricezione solo della somma fatturata e, quindi, la pattuizione del minor prezzo risultante dalla fattura, commette il reato di concussione e non quello di interesse privato negli atti della liquidazione previsto dagli artt. 228 L. Fall., che si applica espressamente solo qualora non ricorra il reato previsto dall'art. 317 c.p., né quello di accettazione di retribuzione non dovuta, previsto dall'art. 219 L. Fall., il quale riguarda la ricezione o la pattuizione di una retribuzione aggiuntiva rispetto al compenso liquidato ai sensi dell'art. 213 L. Fall. dall'autorità che vigila sulla liquidazione coatta amministrativa, in quanto nella fattispecie criminosa non si rinvengono gli elementi specializzanti dell'abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale e dell'induzione o della costrizione, come effetto dell'esercizio di una pressione psichica, prevaricatrice della volontà del privato, e quindi dell'oggettiva soggezione alla pubblica funzione, tipici della concussione".
Prosegue poi la Corte evidenziando che "il reato di concussione deve ritenersi speciale rispetto a quelli previsti dagli artt. 228 e 229 L. Fall., con la conseguenza che fra il primo e questi ultimi non è ipotizzabile il concorso".

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