La normativa alla luce della interpretazione dalla Corte dei Conti e dell'ANAC, profili costituzionali dei c.d. scudi erariali ed aspetti contabili correlati

Le basi normative degli incarichi di consulenza a favore della p.a.

La materia dei contratti di consulenze sottoscritti dalla PA richiede un preventivo inquadramento generale, necessario per meglio definire e comprendere le specifiche norme regolatrici delle consulenze e collaborazioni legali. A tal fine si devono innanzitutto prendere a riferimento le principali norme vigenti e cioè il d.lgs. 165/2001, il d.lgs. 33/2013 ed il Codice Appalti (vigente ratione temporis), con l'integrazione dei pareri, in vario modo denominati, dell'ANAC. Gli incombenti previsti da tale complesso normativo riguardano tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001.

Risulta poi fondamentale verificare la data di avvio della procedura di affidamento (tipicamente, la data della determina a contrarre o atto equivalente) per stabilire se si applichi il vecchio Codice (d.Lgs. 50/2016) o il nuovo (d.Lgs. 36/2023). Infatti, in particolare, le nuove disposizioni sulla digitalizzazione e la piattaforma unica (art. 22 D.Lgs. 36/2023) sono diventate obbligatorie dal 1° gennaio 2024.

Consulenze Generiche (non legali)

Si tratta di incarichi professionali per prestazioni di natura intellettuale (es. studi, ricerche, progettazioni, assistenza tecnica, formazione) che non rientrano nella rappresentanza o consulenza legale strettamente legata al contenzioso. La loro natura è quella di appalti di servizi.

a) Regime nel VECCHIO Codice (d.lgs. 50/2016 art. 3, comma 1, lettera ss) - Applicabile per procedure avviate fino al 30 giugno 2023 (o 31 dicembre 2023 per specifiche disposizioni):

- Principio generale: Piena applicazione del Codice dei Contratti Pubblici.

- Soglie e procedure:

Sotto-soglia europea (attualmente 215.000 Euro per servizi):

Affidamento diretto (art. 36, comma 2, lett. a): per importi inferiori a 40.000 Euro.

Procedura negoziata previa consultazione (Art. 36, comma 2, lett. b e c): per importi superiori a 40.000 Euro, con obbligo di consultazione di un numero crescente di operatori (almeno 5 per servizi tra 40.000 e 140.000 Euro; almeno 10 per servizi tra 140.000 Euro e soglia).

Sopra-soglia europea: Obbligo di applicare le procedure ordinarie di evidenza pubblica (es. procedura aperta, ristretta) con pubblicità a livello europeo (Art. 59 e ss.).

- CIG (Codice Identificativo Gara): si tratta di un codice alfanumerico di 10 cifre rilasciato dall'ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) che serve a identificare in modo univoco ogni singola procedura di affidamento di lavori, servizi o forniture da parte delle pubbliche amministrazioni. E' richiesto dal Responsabile Unico del Progetto - in precedenza "del Procedimento" - (c.d. RUP) della stazione appaltante tramite il Sistema Informativo Monitoraggio Gare (SIMOG) dell'ANAC (oggi integrato nella più ampia Piattaforma Contratti Pubblici - PCP dell'ANAC) e deve essere acquisito prima dell'avviodella procedura di gara o dell'affidamento di appalti. Il CIG è dunque obbligatorio per tutti gli appalti di servizi, ai fini della tracciabilità (l. 136/2010 e art. 213, comma 5 del d.lgs. 50/2016) e per il monitoraggio ANAC.

- Obblighi di trasparenza: l'art. 15 del d.lgs. 33/2013 impone la pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" (ai sensi della Determinazione n. 1310 del 28/12/2016 dell'ANAC) e la trasmissione al Dipartimento dellaFunzione Pubblica (ai sensi dell'art. 53, comma 14, del d.lgs. 165/2001, che prevede l'alimentazione dell'Anagrafe delle Prestazioni gestita dal Dipartimento della Funzione Pubblica) dei dati relativi agli incarichi di collaborazione o consulenza (atto di conferimento, oggetto, durata, compenso, estremi del provvedimento di conferimento, curriculum vitae) quali condizioni per l'acquisizione dell'efficaciadell'atto e per la liquidazione del compenso.

Nota: Le Linee Guida ANAC n. 4 di attuazione del d.lgs. 50/2016 hanno fornito indicazioni dettagliate sulle procedure sotto-soglia, raccomandando sempre un confronto concorrenziale adeguato all'importo (anche a mezzo dell'istituzione di un elenco istituito e gestito a mezzo di avvisi pubblici ed aperto all'iscrizione di chiunque avesse i requisiti a loro volta stabiliti in base a criteri oggettivi, non discriminatori e proporzionati). La Giurisprudenza ha costantemente ribadito la necessità del rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e concorrenza anche negli affidamenti diretti.

b) Regime nel NUOVO Codice (d.lgs. 36/2023) - Applicabile per procedure avviate dal 1° luglio 2023:

- Principio generale: Piena applicazione del Codice dei Contratti Pubblici.

- Soglie e procedure: Semplificazione e innalzamento soglie per affidamento diretto

- Sotto-soglia europea (attualmente 221.000 Euro per servizi):

Affidamento diretto: Per importi inferiori a 140.000 Euro (art. 50, comma 1, lett. b). Non più il limite di 40.000 Euro.

Procedura negoziata senza bando: Per importi tra 140.000 Euro e la soglia europea, previa consultazione di almeno 5 operatori economici (art. 50, comma 1, lett. c).

- Sopra-soglia europea: Obbligo di applicare le procedure ordinarie di evidenza pubblica (art. 70 e ss.).

- CIG (Codice Identificativo Gara): Obbligatorio. Il CIG continua ad essere il riferimento per la tracciabilità e per la disciplina del FVOE (Fascicolo Virtuale dell'Operatore Economico).

- Obblighi di Trasparenza: Nessuna modifica sostanziale agli obblighi ex art. 15 del d.lLgs. 33/2013che rimangono pienamente in vigore e fondamentali. La pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" e la trasmissionealla Pubblica Funzione rimangono condizioni di efficacia e liquidazione del compenso.

Nota: Il nuovo Codice ha abrogato le Linee Guida ANAC. Le nuove norme sono più auto-applicative ma l'ANAC continuerà a fornire chiarimenti. L'accento è posto sul principi del risultato (art. 1), della fiducia (art. 2), dell'accesso al mercato (art. 3), della pubblicità e trasparenza (art. 3) e della rotazione (art. 49), che dovrebbero guidare le stazioni appaltanti verso procedure più snelle ma sempre nel rispetto della concorrenza.

Consulenze e servizi legali

Si distinguono due macro-categorie con regimi diversi:

Servizi legali "esclusi" (patrocinio e contenzioso): rientrano in tale fattispecie sia la rappresentanza legale in un procedimento giudiziario, arbitrale o di conciliazione (che dunque sono servizi di assistenza legale e non mere consulenze) e sia la specifica forma di consulenza legale fornita in preparazione o in relazione a tali procedimenti (nel momento in cui siano già esattamente individuabili).

a) Regime nel VECCHIO Codice (d.lgs. 50/2016) - Applicabile per procedure avviate fino al 30 giugno 2023:

- Principio generale: Esclusi dall'applicazione delle procedure di evidenza pubblica ordinarie. Erano elencati nell'art. 17, comma 1, lettera d).

- Soglie: Non rilevanti. L'esclusione valeva a prescindere dal valore dell'incarico.

- CIG (Codice Identificativo Gara): occorre distinguere due fasi nella prassi applicativa di tale obbligo. Un prima fase in cui a mente del punto 4.3 della Determinazione ANAC n. 4/2011, non era necessaria l'acquisizione del CIG per i servizi esclusi e dunque Il "patrocinio legale puro e circoscritto" (la singola difesa giudiziale) era qualificato come "contratto di prestazione d'opera intellettuale" e in quanto tale, non veniva considerato un "appalto" e per questa specifica tipologia, non era soggetto all'obbligo del CIG. Una seconda fase in cui, sulla base delle Linee Guida ANAC n. 12 del 2018, l'obbligo del CIG e del relativo contributo veniva fatto discendere dal fatto che anche questi ultimi, seppur "esclusi" dalle procedure di gara più stringenti, erano comunque considerati "contratti pubblici" ai fini della tracciabilità e della vigilanza ANAC.

- Obblighi di trasparenza: Piena applicazione dell'art. 15 del d.lgs. 33/2013. La pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" e la trasmissione al Dipartimento della Funzione Pubblica (ai sensi dell'art. 53, comma 14, del d.lgs. 165/2001, che prevede l'alimentazione dell'Anagrafe delle Prestazioni gestita dal Dipartimento della Funzione Pubblica) dei dati relativi agli incarichi di collaborazione o consulenza (atto di conferimento, oggetto, durata, compenso, estremi del provvedimento di conferimento, curriculum vitae) quali condizioni per l'acquisizione dell'efficacia dell'atto e per la liquidazione del compenso.

- Modalità di affidamento: a mente delle linee guida n. 12 dovevano essere rispettati i principi di trasparenza, imparzialità, economicità, non discriminazione e proporzionalità. Ciò implicava una selezione comparativa (anche informale) per individuare il professionista più idoneo, salvo casi di "intuitus personae" adeguatamente motivati.

b) Regime nel NUOVO Codice (d.lgs. 36/2023) - Applicabile per procedure avviate dal 1° luglio 2023:

- Principio generale: Confermata l'esclusione totale dall'applicazione delle procedure ordinarie di evidenza pubblica. Rientrano nell'art. 56, comma 1, lettera h).

- Soglie: Non rilevanti. L'esclusione vale sempre a prescindere dal valore.

- CIG (Codice Identificativo Gara): Obbligatorio (c.d. CIG di tracciabilità). Il nuovo Codice ribadisce la vigilanza ANAC ai sensi dell'art. 222, comma 3 e il perdurante obbligo di tracciabilità. La sentenza delConsiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2776 del 2 aprile 2025, confermando la Delibera ANAC n. 584 del 19 dicembre 2023, ha infatti rigettato ogni possibile interpretazione restrittiva della nozione di "appalto pubblico di servizi legali", affermando che la categoria dei contratti "estranei" non esiste e che i servizi legali (inclusa la singola difesa in giudizio) sono sempre "appalti pubblici" (sebbene "esclusi" dagli obblighi di gara). L'ANAC ha mantenuto questa posizione.

- Obblighi di trasparenza: Nessuna modifica, l'art. 15 del d.lgs. 33/2013 rimane pienamente in vigore. La pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" e la trasmissione alla Pubblica Funzione rimangono condizioni di efficacia e liquidazione del compenso.

- Modalità di affidamento: ai sensi dell'art. 13 comma 5 devono essere rispettati i principi generalidel Codice (art. 1, 2, 3), che includono trasparenza, non discriminazione, concorrenza e proporzionalità. Si richiede una selezione comparativa, anche tramite modalità semplificate, per garantire la scelta del professionista più idoneo.

Altri servizi legali

(non rientranti nei "servizi esclusi" - es. pareri indipendenti da un eventuale incarico di patrocinio)

Si tratta di consulenze legali di carattere più generale, non legate a contenzioso specifico o imminente.

a) Regime nel VECCHIO Codice (d.lgs. 50/2016) - Applicabile per procedure avviate fino al 30 giugno 2023:

- Principio generale: Rientravano tra i "servizi sociali e altri servizi specifici" dell'Allegato IX della Direttiva 2014/24/UE (recepito nel Codice). Erano soggetti a un regime semplificato (art. 35, comma 1, lett. d) per la soglia europea, e art. 140 d.lgs. 50/2016 per le procedure).

- Soglie: Soglia europea elevata (750.000 Euro, poi aggiornata).

Sotto soglia elevata: Maggiore discrezionalità per le PA, ma nel rispetto dei principi generali.

Sopra soglia elevata: Procedure semplificate.

- CIG (Codice Identificativo Gara): Obbligatorio.

- Obblighi di trasparenza: Piena applicazione dell'art. 15 del D.Lgs. 33/2013, ovvero obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" e di trasmissione alla Pubblica Funzione sono condizioni di efficacia e liquidazione del compenso.

b) Regime nel NUOVO Codice (D.Lgs. 36/2023) - Applicabile per procedure avviate dal 1° luglio 2023:

- Principio generale: Mantengono un regime semplificato. Sono disciplinati dall'art. 127 del d.lgs. 36/2023 e rientrano nell'Allegato XIV della Direttiva (ora riferito all'art. 14 del nuovo Codice).

- Soglie: Soglia europea elevata (attualmente 1.000.000 Euro).

Sotto 1.000.000 Euro: La PA ha maggiore flessibilità nelle modalità di affidamento, ma deve rispettare i principi di cui agli artt. 1, 2, 3 d.lgs. 36/2023.

Sopra 1.000.000 Euro: con bando di gara, ma sono previste procedure specifiche semplificate in alcuni casi particolari (art. 127, comma 2).

- CIG (Codice Identificativo Gara): Obbligatorio.

- Obblighi di trasparenza: Nessuna modifica, piena applicazione dell' art. 15 del D.Lgs. 33/2013. La pubblicazione sul sito istituzionale, nella sezione Amministrazione Trasparente, sotto-sezione "Bandi di gara e contratti" e la trasmissione alla Pubblica Funzione rimangono condizioni di efficacia e liquidazione del compenso.

Collaborazioni ex Art. 7 D.Lgs. 165 del 2001: Contratti di lavoro autonomo

Ben diversa natura giuridica - rispetto ai contratti di consulenza propriamente detti e rispetto all'assistenza legale illustrati nei due punti precedenti - hanno invece gli incarichi di cui all'Art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165 del 2001 i quali non sono appalti di servizi, bensì contratti di lavoro autonomo.

Questi incarichi sono conferiti ad esperti di particolare e comprovata specializzazione per esigenze eccezionali e temporanee, legate ad obiettivi e progetti specifici a cui la PA non può far fronte con personale interno. Il focus è posto sull'apporto personale e qualificato dell'individuo.

Per questi specifici incarichi di lavoro autonomo ex Art. 7, comma 6, D.Lgs. 165 del2001, l'ANAC (cfr.Faq sulla tracciabilità C6) ha chiarito che non è richiesto il CIG ai fini della tracciabilità (a differenza di quanto previsto per gli appalti di servizi, inclusi quelli legali).

La loro ratio è consentire alla PA di integrare temporaneamente le proprie competenze interne con profili altamente specializzati, non di acquisire un "servizio" in senso lato come avviene con gli appalti.

Più in particolare, anche alla luce del comma 5 bis, è fatto espresso divieto di utilizzare tali contratti di collaborazione per lo svolgimenti di funzioni ordinarie o per prestazioni assimilabili a quelle dei lavoratori subordinati, impedendo così infrazioni surrettizie del divieto di precarizzazione dei dipendenti pubblici ai sensi dell'art. 36 d.lgs 165 del 2001.

L'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Questo, nella prassi, si traduce spesso nell'espletamento di avvisi pubblici o selezioni comparative basate sulla valutazione dei curricula, eventualmente integrati da colloqui o prove. L'affidamento diretto è quindi ammesso solo in casi eccezionali, ad esempio in caso di avviso pubblico andato deserto, ma deve essere adeguatamente motivato.

Anche nel caso di tali incarichi di collaborazione l'art. 15 del D.Lgs. 33/2013 impone alle pubbliche amministrazioni di pubblicare sul proprio sito istituzionale - nella sezione "Amministrazione Trasparente" ed ai sensi della Determinazione n. 1310 del 28/12/2016 dell'ANAC, nella specifica sotto-sezione "Consulenti e collaboratori" (diversamente dagli appalti di servizi per consulenze e assistenza legale che come visto, vanno invece inseriti nella sotto sezione "Bandi di gara e contratti") - una serie di informazioni dettagliate per ogni incarico conferito a soggetti esterni. Tali dati devono essere pubblicati entro tre mesi dal conferimento dell'incarico, devono essere mantenuti sul sito per i tre anni successivi alla cessazione dell'incarico stesso e devono anche essere comunicati al Dipartimento della Funzione Pubblica a pena di inefficacia dell'atto di conferimento ed impossibilità di liquidare icompensi.

Il labile confine tra consulenze, servizi e collaborazioni in materia legale

Emerge dunque un primo importante elemento di criticità. Al di là delle procedure formalmente adottate, del valore del contratto, dell'acquisizione o meno del CIG e dalla denominazione formalmente adottata per il contratto, i confini tra le fattispecie descritte dalle normative vigenti in materia di servizi e collaborazioni legali è estremamente labile (con ovvie ricadute sulla veridicità dei documenti di bilancio in sede di contabilizzazione). Ne consegue che l'elemento più rilevante per identificare l'esatta tipologia di prestazione professionale concordata con la stazione appaltante e verificarne la legittimità, è l'analisi del concreto oggetto e delle effettive modalità di svolgimento delle prestazioni previste dal contratto. Inoltre, un altro importante parametro di valutazione è rappresentato dalla congruità del compenso e dalla presenza nel contratto di elementi che ne giustifichino l'entità. Proprio su questi aspetti si concentra infatti l'opera di accertamento della Corte dei Conti.

Gli appalti pubblici di consulenza nella giurisprudenza della Corte dei Conti

I giudici contabili scrutinano con particolare attenzione gli affidamenti di incarichi di consulenza esterni, verificandone la legittimità e l'assenza di danno erariale. L'orientamento della Corte dei Conti è costante e rigoroso, ribadendo che il ricorso a tali incarichi è legittimo solo in presenza di tutti i presupposti normativi che però non possono essere interpretati estensivamente. Non basta la mera opportunità o convenienza, ma è necessaria una stringente verifica dei requisiti richiesti dalla legge. Tutte le pubbliche amministrazioni pubbliche, compresi gli Enti pubblici non economici e gli Ordini professionali (cfr. Corte Cass. Civile, SSUU, Sentenza n. 17118 del 26/06/2019), al fine di non incorrere nella responsabilità erariale, devono quindi adeguarsi a tali principi elaborati dalla Giurisprudenza della Corte dei Conti.

Innanzitutto, la Giurisprudenza richiede la prova dell'impossibilità oggettiva, momentanea ed occasionale di far fronte agli incombenti istituzionali con personale interno. L'amministrazione ha l'onere di dimostrare, attraverso un'adeguata ricognizione interna, di non possedere le risorse professionali (in termini quantitativi e qualitativi) necessarie per raggiungere lo specifico obiettivo. Una generica "carenza di personale" non è mai considerata sufficiente a giustificare l'affidamento esterno. Ne discende che lo strumento della consulenza è legittimo fintanto che "il suo impiego non perda le caratteristiche dell'eccezionalità rispetto all'ordinario svolgimento delle funzioni istituzionali per mezzo della propria organizzazione interna". In caso, invece, di costante e normale necessità di una specifica competenzaspecialistica, tale professionalità andrà reperita assumendo personale di ruolo a mezzo di pubblico concorso anche perché, peraltro, "giustificare il ricorso alla consulenza esterna con i mutamenti di disciplina non potrebbe, dunque, che considerarsi fuorviante, giacché diversamente si finirebbe con l'ammettere che nessun ramo della pubblica amministrazione sarebbe nella condizione di svolgere i propri compiti istituzionali senza l'ausilio di professionisti privati, specializzati in questo o quel settore dell'agire amministrativo, atteso che, com'è noto, ogni attività di gestione della pubblica amministrazione è soggetta, e non potrebbe essere diversamente, ad una continua evoluzione normativa.". Infine, più in particolare, la medesima Giurisprudenza ritiene che in caso di pluriennale omissione del reclutamento e formazionedelle adeguate professionalità interne, data l'ordinarietà delle relative mansioni, sarebbe quindi insufficiente la motivazione "secondo la quale l'"attuale assetto operativo della s.c. economica finanziaria non contempla figure professionali con conoscenze specifiche nel campo tributario e fiscale e che pertanto si rende necessario affidare ad un professionista esterno l'incarico di assistenza nelle dette materie" (cfr.Corte conti, Sez. II centr. app., 9 settembre 2020, n. 207).

Più in particolare, la giurisprudenza della Corte dei Conti è stata inequivocabile nel rigettare l'argomento secondo cui i "deficit strutturali" degli uffici pubblici possano giustificare l'esternalizzazione sistematica di compiti istituzionali. Un caso emblematico è quello esaminato dalla Corte dei Conti che ha censurato l'affidamento di consulenze esterne generalizzate e continuative sottoscritte direttamente dall'Organo politico. La Corte, richiamando la violazione del principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e gestionali ex art. 4 del d.lgs. 165/2001, ha sancito che "i deficit strutturali in cui versano gli uffici pubblici non consentono, per ciò solo, di esternalizzare compiti istituzionali né di derogare ai canoni dell'imparzialità ed efficienza dell'azione amministrativa; soprattutto, tale situazione non giustifica ilcommodus discessus rappresentato dall'affidamento all'esterno degli incarichi da fronteggiare con le risorse interne, dal momento che tale alternativa finisce col radicare il denunciato sottodimensionamento, in una spirale che, nel tempo, tende ad autoalimentarsi" (sent. n.462/2021)" (cfr. Corte conti, Sez. II centr. App, n. 216 del 2023). Questo orientamento è dunque cruciale perché smonta la facile scappatoia di giustificare la reiterazione delle consulenze esterne con la carenza di personale, evidenziando come tale pratica finisca per perpetuare le inefficienze anziché risolverle.

Analisi di alcune fattispecie particolari sanzionate dalla Corte dei Conti

La giurisprudenza contabile ha poi individuato diverse specifiche fattispecie che, per la loro illegittimità, configurano colpa grave e comportano un danno erariale:

a) Nel caso di consulenze legali stragiudiziali generalizzate e reiterate, la Corte dei Conti ha sancito che costituisce colpa grave il conferimento di "diversi e reiterati incarichi di consulenza, ritenuti funzionali, da parte dell'Ente, ad esperire attività legale di carattere stragiudiziale", specificando che "il contenuto degli incarichi era talmente generico e privo di concretezza e specificità - come risulta per tabulas - tanto da dover essere considerati alla stregua degli ordinari compiti istituzionali" e che inoltre, tali incarichi "non recano alcun criterio per addivenire alla quantificazione dei compensi" (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Puglia, 5 giugno 2019, n. 341, confermata da Sez. I centr. app. 29 settembre 2020, n. 252). Si tratta a ben vedere di un caso in cui la consulenza diventa una "messa a disposizione" costante e non finalizzata a specifiche problematiche trascendendo in una collaborazione continuativa e non occasionale che invece, ai sensi del comma 6 dell'art. 7 del d.lsg 165 del 2001, dovrebbe esse limitata a questioni specifiche e preventivamente circoscritte senza invadere l'attività ordinaria dell'Ente. Inoltre la Corte dei Conti effettua un'importante sottolineatura della necessità di evidenziare, nei contratti pubblici, i parametri utilizzati per quantificare i compensi.

b) Per quanto riguarda, ancora più in particolare, le consulenze relative alla gestione del personale ed agli atti procedurali ordinari, la Corte dei Conti considera colpa grave il conferimento di "diversi e reiterati incarichi di consulenza, ritenuti funzionali, da parte dell'Ente, a porre in essere gli adempimenti concernenti la predisposizione dei regolamenti e/o atti riguardanti le procedure di assunzione e gestione del personale, nonché, più in generale, a garantire la correttezza e legittimità di procedimentitout court e dei relativi provvedimenti", specialmente se l'incarico è "remunerato in assenza di congruiparametri di riferimento" (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Puglia, 5 giugno 2019, n. 342, confermata da Sez. I centr. app. 29 settembre 2020, n. 251).

c) Nell'ambito della speciale materia dell'Anticorruzione la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, con la Sentenza 4 maggio 2018, ha ribadito il divieto di affidare la procedura di mappatura del rischio dei Piani Anticorruzione a soggetti esterni in quanto la "scelta di far effettuare l'analisi del rischio all'esterno da soggetto terzo, essa appare in contraddizione con la norma dell'art.1, comma 8 della legge 190/2012 che prevede il divieto di redigere il piano anticorruzione da parte di soggetti esterni." Rispetto alla specifica materia dell'Anticorruzione, come sarà approfondito nel paragrafo dedicato alle consulenze legali, è importante evidenziare che il Presidente dell'ANAC, a mezzo del Comunicato del 27 novembre 2019 (a mente del Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2019), ha escluso persino "contributi di ogni genere forniti da soggetti esterni all'amministrazione all'attività di redazione del PTPCT" ribadendo, inoltre, il generale divieto per estranei alla p.a. di far parte della struttura di supporto al RPCT. Tale divieto viene radicato dal Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2019, alla pag. 19, nella clausola di invarianza della spesa.

d) Per quanto riguarda poi le specifiche modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione di cui all'art. 7 comma 6 del dlgs 165 del 2001 la Corte dei Conti ribadisce il divieto di affidamento direttoper soglie e l'obbligo di procedura comparativa giacché, testualmente "il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza: a) procedura comparativa andata deserta; b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo; c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la "particolare urgenza" deve essere "connessa alla realizzazione dell'attività discendente dall'incarico" (ex plurimis, deliberazione Sez.Contr. Lombardia n. 67/2012/IADC). Non può ritenersi legittima, quindi, la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché "la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri", in particolare agli affidamenti in economia (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/09; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/10 e n. 8/10)". Va quindi ribadito, sulla scorta di più precedenti, tra cui le delibere nn. 25 e 79 del 2020 di questa Sezione che, a differenza di quanto previsto dal vigente codice dei contratti pubblici relativamente agli appalti di servizi, la disciplina degli incarichi non prevede procedure selettive differenziate a seconda dell'importo della prestazione, e che l'obbligodi disciplinare e rendere pubbliche le "procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione" non sorge in riferimento a soglie quantitative di importo del corrispettivo, ma risulta generalizzato." (cfr. Corte dei Conti, Regione Piemonte, Sezione di Controllo, 19 febbraio 2025, n. 21)

I principi che si possono trarre dalla suddetta Giurisprudenza sono molteplici:

- L'incarico di consulenza o collaborazione, a prescindere da come sia denominato e qualificato, deve riguardare attività che non rientrano nelle funzioni ordinarie o strutturali dell'amministrazione. La temporaneità è un elemento essenziale, così come la chiarezza e determinatezza dell'oggetto della prestazione e dei risultati attesi. Le consulenze non possono sopperire a carenze organiche permanenti e devono legate a obiettivi e progetti specifici;

- L'incarico deve essere conferito a soggetti che possiedono competenze specifiche e non comuni, non altrimenti acquisibili tramite il normale reclutamento. La scelta del professionista deve essere motivata in base alle sue qualifiche e all'esperienza specifica richiesta.

- Ogni forma di utilizzo continuativo di consulenze o collaborazioni per esigenze ordinarie dell'ente, o la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato di fatto, è considerata illegittima. Tale prassi non solo rende nullo l'incarico, ma comporta responsabilità erariale per i soggetti che lo hanno conferito, a maggior ragione nel caso di violazione del principio di separazione tra politica e gestione amministrativa.

- La regola per negli affidamenti di incarichi esterni è l'adozione di procedure comparative.

- Il valore della remunerazione deve essere adeguatamente giustificato. (Nota: quest'ultimo principio della Corte dei Conti è molto importante giacché, a ben vedere, un compenso immotivatamente sproporzionato rispetto all'oggetto del contratto potrebbe nascondere prestazioni non esplicitate nel contratto oppure, rappresentare un espediente elaborato da un amministratore infedele al fine di far uscire del denaro dall'Ente pubblico in modo apparentemente legittimo per poi spartire l'eccesso di retribuzione assieme al professionista che lo riceve)

Le questioni Costituzionali afferenti ai c.d. "Scudi Erariali"

Le pronunce della Corte dei Conti assumono una rilevanza ancora maggiore alla luce del dibattito sulle normative che introducono e reiterano i c.d. "scudi erariali" (cfr. Disegno di Legge S. 1457) . È in questo contesto che si sollevano questioni di diritto con significative implicazioni per il sistema amministrativo e la gestione degli enti pubblici.

Innanzitutto, in questa materia, un grande rilievo è da attribuire alla Giurisprudenza della Corte Costituzionale, in particolare alla Sentenza n. 132 del 2024 la quale, sebbene riferita allo scudo erariale collegato all'emergenza Covid-19, ha ribadito alcuni principi fondamentali:

a) Le deroghe devono essere temporanee, specifiche e strumentali a scopi ben definiti (es. emergenze).

b) La responsabilità per colpa grave è la regola.

c) Non è possibile svuotare la responsabilità per colpa grave in via permanente o generalizzata giacché l'obiettivo rimane quello di non "sminuire la funzione deterrente della responsabilità amministrativa".

Pertanto, l'idea di esonerare perennemente i politici dalla responsabilità per colpa grave creerebbe una grave assenza di accountability, favorendo comportamenti poco responsabili. Ciò indurrebbe, inoltre, forti pressioni sui dirigenti e sugli impiegati affinché appongano firme di visto o rendano pareri favorevoli, anche in presenza di dubbi, per non ostacolare l'azione politica. Per l'effetto, si renderebbero paradossalmente più responsabili i soggetti che hanno meno potere decisionale complessivo, creando così una disparità di trattamento irragionevole tra il politico e il dirigente (o peggio il semplice impiegato) in palese violazione dell'art. 3 della Costituzione. Tutto ciò appare, infine, un'ingerenza nell'autonomia e nelle funzioni di controllo della Corte dei Conti e uno svuotamento dei suoi poteri.

Inoltre, sancire un'eventuale irresponsabilità per la sistematica violazione delle norme sull'organizzazione degli uffici e sull'affidamento di incarichi esterni degraderebbe i principi di legalità e buon andamento della pubblica amministrazione (Art. 97 Cost.).
C' è poi da considerare che interpretazioni eccessivamente estensive degli "scudi erariali" rischierebbero di deresponsabilizzare gli amministratori anche in caso di violazioni normative gravi e reiterate, con l'effetto di determinare un significativo impatto negativo sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, disincentivando e scoraggiando una gestione più trasparente ed efficiente delle risorse.

Si ritiene quindi che alla luce della Giurisprudenza della Corte Costituzionale, allo stato attuale, sia immediatamente esperibile un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme attuali e di quelle in fase di approvazione. A maggior ragione, sussistono fondati motivi per ritenere che un'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dinanzi alla Corte Costituzionale possa avere elevate probabilità di accoglimento in relazione a "scudi" che generalizzassero l'esclusione della responsabilità per colpa grave in assenza dei stringenti requisiti indicati dalla stessa Consulta.

Inammissibile ingerenza politica e non operatività degli "scudi erariali"

Un eventualità molto significativa è poi rappresentata, ricollegandosi alla suddetta Giurisprudenza della Corte dei Conti (cfr. Corte conti, Sez. II centr. App, n. 216 del 2023), dall'ipotesi in cui vi sia stata un'indebita ingerenza degli organi politici nelle funzioni di gestione e amministrazione, normativamente riservate alla dirigenza amministrativa. A tal proposito si evidenzia che il principio di separazione tra politica e amministrazione, sancito dall'articolo 97 della Costituzione e ribadito dall'articolo 4 del D.Lgs. 165/2001, è a parere del Giudice delle leggi un pilastro ineluttabile del nostro Ordinamento (ex multis Corte Costituzionale n. 81 del 2013; n. 304 del 2010; n. 390 del 2008; n. 104 e n. 103 del 2007). La sua violazione si concretizza quando gli organi politici non si limitano a definire gli obiettivi e gli indirizzi generali, ma scendono nel dettaglio della gestione ordinaria, come l'affidamento diretto di incarichi di consulenze e collaborazioni esterne e la gestione del personale.

Come evidente tali condotte non rientrano nel perimetro della "scelta politica" tutelabile dagli scudi erariali. Questi strumenti, in realtà, sono concepiti per salvaguardare la discrezionalità amministrativa in contesti di emergenza o incertezza, non per coprire violazioni (specie se sistematiche) di norme basilari dell'ordinamento o atti che configurano una gestione di fatto, in assenza delle competenze e dei titoli previsti dalla legge. L'eventuale ingerenza politica nella gestione, specialmente quando è reiterata e porta a inefficienze o sprechi, esula per l'effetto dalla sfera di tutela degli "scudi". Si configura, piuttosto, un comportamento che può assumere i connotati del dolo o della colpa grave, chiamando direttamente in causa la responsabilità degli amministratori che hanno posto in essere tali condotte, indipendentemente, ad esempio, dalla eventuale controfirma di un RUP o altro dipendente della PA con analoga posizione di responsabilità. Pertanto, l'eventuale tentativo di scaricare la responsabilità su un dipendente - eventualità prospettata dai nuovi "scudi erariali" - accusandolo di aver omesso di segnalare tali stesse illegittimità sistemiche diverrebbe, in questi casi, un'argomentazione debole ed anzi rivelatrice di un'eventuale precostituzione di un alibi, poiché la decisione illegittima sarebbe stata, di fatto, imposta o assunta a montedirettamente dall'organo politico stesso. La firma del RUP non può magicamente trasformare una decisione dolosa o gravemente colposa del politico in "buona fede" e dovrebbe essere valutata la reale autonomia decisionale del RUP e la sua effettiva conoscenza delle implicazioni dell'atto, alla luce della concreta configurazione della catena di comando. Al limite, in tale ipotetico contesto gravemente compromesso, si potrebbe avere una responsabilità concorrente del politico (per dolo) e del RUP (per colpa grave o dolo), ma di certo non si potrà utilizzare il medesimo RUP come un "parafulmine" che assorba interamente ogni responsabilità.

Come evidente tali eventuali ed estreme tipologie di comportamenti, commissivi ed omissivi, in sede di organizzazione della struttura dell'Ente, punterebbero inequivocabilmente verso una scelta consapevolee voluta di agire in modo illegittimo, o quantomeno dell'accettazione del rischio che tale condotta avrebbe generato un danno all'erario. Il "nuovo scudo erariale", sebbene inteso a proteggere dalla "paura della firma" per scelte discrezionali di merito, non può e non deve proteggere chi, con dolo o grave colpa omissiva, dovesse tentare di smantellare l'apparato amministrativo, di appropriarsi indebitamente di funzioni gestionali e sperperare il denaro pubblico in violazione manifesta della legge e dei principi di buon andamento e legalità.

In un simile ipotetico contesto - richiamando la criticità rappresentata dalla eventuale scorretta classificazione e denominazione dei contratti pubblici in materia di collaborazioni e consulenze - l'eventuale susseguente occultamento o la diluizione nel bilancio di illegittimi impegni di spesa, assunti (o meno) direttamente dall'organo politico, renderebbe la situazione ancora più compromettente. Infatti, qualora dalla lettura dei documenti di bilancio dovesse risultare impossibile rintracciare e verificare l'entitàdell'esatta spesa relativa a ciascuno di tali contratti illegittimi (o peggio qualora fosse impossibile anche solo constatare l'esistenza di alcune specifiche spese), allora, risulterebbe in ogni caso praticamente impossibile applicare la copertura degli "scudi erariali". In tale evenienza, a ben vedere, si verserebbe in una situazione di completa eversione dell'Ordinamento ed in cui sarebbe, comunque, innegabile il dolo dell'organo di indirizzo politico (a meno che non sia in grado di dimostrare di essere stato reiteratamente ingannato sia in sede di impegno e sia in sede di contabilizzazione delle spese).

Le collaborazioni e consulenze legali a favore delle p.a.

Come illustrato e premesso nei punti precedenti, la legittimità degli affidamenti di consulenze legali deve essere valutata alla luce del rispetto del divieto di stipulare contratti di collaborazione o consulenza (o in altro modo denominati) che in realtà, avendo attenzione al concreto oggetto, invadano il campo riservato alla competenza dei dipendenti pubblici di ruolo, configurando forme di precarizzazione di fatto del pubblico impiego in violazione dell'art. 36 del d.lgs 165 del 2001.

Più in particolare, la Giurisprudenza della Corte dei Conti ha ancor meglio definito i confini della legittimità dell'affidamento dei contratti di collaborazione in materia legale applicando con estremo rigore i parametri definiti dal comma 6, dell'art. 7 del d.lgs 165 del 2001, nonché le principali normative regolatrici dell'organizzazione della PA, soprattutto quelle in materia di anticorruzione, interpretate alla luce delle correlative decisioni e pareri dell'Autorità garante e della Giurisprudenza amministrativa.

In sede di pianificazione di eventuali collaborazioni esterne occorrerà quindi evitare di affidare contratti di collaborazione, generici, generalizzati e continuativi (comunque denominati) che si risolvano in una costante "messa a disposizione" del professionista a fronte di un corrispettivo fisso, qualora il concreto oggetto del contratto medesimo riguardi materie che rientrino nei compiti istituzionali degli uffici amministrativi dell'Ente medesimo, come ad esempio il diritto amministrativo, il diritto del lavoro, la contabilità e soprattutto, qualunque forma di collaborazione ed assistenza in materia di anticorruzione.

Approfondendo ancor più l'analisi occorre poi considerare che nella prassi, i contratti di consulenza di collaborazione in materia legale vengono generalmente affidati a professionisti dotati dell'abilitazione all'esercizio della professione forense. Questo aspetto genera diverse ulteriori possibili criticità in ragione delle specifiche caratteristiche proprie degli incarichi che contraddistinguono la professione di avvocato. Infatti, un avvocato che dovesse decidere di stipulare dei contratti di prestazioni professionali assieme ad una PA, dovrebbe ponderare attentamente le concrete modalità operative relative all'incarico al fine di evitare incompatibilità, conflitti d'interessi e violazioni del Codice deontologico.

Più in particolare, la prestazione professionale di un avvocato viene resa attraverso due tipologie di attività ovvero quella del patrocinio (ovvero un incarico più ampio di assistenza e rappresentanza legale, giudiziale e stragiudiziale e la correlativa eventuale consulenza preventiva e preordinata all'assunzione dell'incarico) e le consulenze propriamente dette che assumono la particolare veste dei c.d. "pareri pro veritate" ovvero, una specifica tipologia di consulenza scritta che si distingue per il suo carattere di maggiore obiettività e imparzialità rispetto ai pareri volti unicamente a supportare la posizione del cliente.

Si pone pertanto un primo livello di possibili conflitti d'interesse nel momento in cui si considera che diverse amministrazioni pubbliche possono avere interessi confliggenti come ad esempio nel caso in cui siano poste l'una rispetto all'altra in un rapporto di interdipendenza nella forma del controllo o della vigilanza. In questo caso l'avvocato dovrà allora evitare di assumere qualunque tipo di impegno professionale qualora dallo stesso assetto istituzionale di due o più enti pubblici, si possa evincere il potenziale configurarsi di un conflitto d'interesse rispetto ad un altro incarico precedentemente assunto. Ancor più grave, logicamente sarebbe poi il caso in cui il medesimo professionista dovesse ricevere, da due o più distinte amministrazioni contemporaneamente, un compenso per lo svolgimento di una medesima ed unica prestazione (duplicando in tal modo la propria retribuzione a fronte di una sola controprestazione).

Si pone poi un secondo livello di possibile conflitto d'interessi che si può definire "interno" ovvero rispetto al medesimo cliente e più precisamente, nel caso che ci occupa, la medesima amministrazione pubblica. Ma tale tipo di conflitti d'interesse porta ad evidenziare un ulteriore possibile livello criticità che si ricollega sia al generale divieto di precarizzazione del pubblico impiego, attraverso l'affidamento all'esterno di mansioni istituzionali proprie degli uffici pubblici e sia al divieto, per un avvocato del libero foro, di assumere ruoli assimilabili all'impiego subordinato e cioè il c.d. avvocato d'azienda. Per meglio comprendere tale più complessa tipologia di conflitto d'interessi, si può pertanto sfruttare la precedente analisi e prendere ad esempio l'eventuale affidamento di prestazioni di collaborazione continuativa e generalizzata nella strategica materia dell'anticorruzione - come visto di per sé vietata ai soggetti esterni - e la parallela assunzione, anche, di un mandato di patrocinio in giudizio in favore di una medesimaamministrazione. Appare in tal caso evidente, da diversi punti di vista, il potenziale conflitto d'interessi tra il ruolo di patrocinatore in giudizio dell'amministrazione ed il contemporaneo ruolo di consulente generalizzato e stabilmente "messo a disposizione" della medesima amministrazione anche in materie istituzionali e strategiche. Infatti, il medesimo professionista, potrebbe credibilmente trovarsi di fronte all'imbarazzo della scelta tra la difesa degli interessi dell'amministrazione e la difesa delle proprie scelte e pareri, sia come patrocinatore e sia al contempo, come consulente ed assistente generale e strategico del medesimo cliente, risultando in tal modo lesa la propria libertà ed indipendenza professionale. Ad esempio, meramente illustrativo e non esaustivo, in un simile contesto, il patrocinatore potrebbe potenzialmente trovarsi di fronte alla possibilità di tentare di coprire in sede di giudizio eventuali gravi errori da egli commessi in qualità di consulente ed assistente generalizzato del medesimo cliente (sempre ad esempio meramente illustrativo e non esaustivo, attraverso il suggerimento di inserire contenuti compromettenti nel piano anticorruzione) al fine di evitare la contestazione di eventuali danni e/o al fine di salvaguardare il proprio interesse al rinnovo del contratto di assistenza e consulenza. In tale frangente il cliente medesimo potrebbe, per l'effetto, essere esposto anche a gravi e diretti rischi per responsabilità aggravata. La conseguenza di tale commistione di ruoli determinerebbe perciò un potenziale rafforzamento esponenziale del c.d. "moral hazard" sempre strisciante in tali tipi di mandato di rappresentanza a mente dell'asimmetria informativa e cognitiva tra patrocinatore e cliente.

Come preannunciato, nel caso preso ad esempio, il conflitto d'interessi diviene ancor più grave e palese nel momento in cui si considera che il medesimo avvocato, nella veste di consulente continuativodel servizio di anticorruzione, si troverebbe per definizione ad influenzare le procedure di monitoraggioed analisi anche dei suoi stessi contratti e cioè sia quello relativo alla specifica funzione di consulente dell'anticorruzione e sia quello afferente all'affidamento del mandato alle liti, configurando in tal modo una grave violazione dei principi di imparzialità e trasparenza e svilendo il ruolo dell'apparato interno anticorruzione.

In considerazione di tutto quanto osservato, si può poi spostare la prospettiva ed analizzare l'assunzione dei suddetti incarichi generalizzati e continuativi dal punto di vista del Codice Deontologico Forense. Emerge in tal modo che tali particolari incarichi potrebbero limitare di fatto la possibilità per altri professionisti di essere incaricati per specifiche questioni e non garantirebbero necessariamente la competenza specifica richiesta per ogni singola questione, ledendo i principi di indipendenza, della dignità e del decoro, del divieto di accaparramento di clientela e del dovere di diligenza.

Infine, per quanto riguarda specificamente gli incarichi professionali legali, data la loro natura e le molteplici implicazioni giudiziali e stragiudiziali, emergono specifiche criticità relative alle procedure afferenti ai contratti pubblici.

Un importante esempio è dato dal rispetto degli obblighi di pubblicità e trasmissione alla Funzione Pubblica dei dati del contratto di affidamento dell'incarico, previsti dall'art. 15 del d.lgs 33 del 2013 e che costituiscono condizioni per l'acquisizione dell'efficacia dell'atto di conferimento dell'incarico e per la liquidazione dei relativi compensi. In tali frangenti, in caso di omissione della fase di pubblicazione e di trasmissione di tali dati, si porrebbe la questione sia della responsabilità erariale per gli eventuali atti di liquidazione dei compensi e sia, soprattutto, la ben più complessa e variegata questione della validità degli eventuali atti giudiziari o stragiudiziali posti in essere dall'avvocato in assenza di un valido mandato.

Conclusioni

L'analisi condotta evidenzia come il tema degli appalti di consulenza e collaborazione nella pubblica amministrazione, specie per gli incarichi legali, sia un terreno complesso e irto di insidie. Ciò è reso evidente dalla Giurisprudenza della Corte dei Conti che ha costantemente ribadito la necessità di un'attenta verifica sostanziale, al di là delle mere formalità, sulla legittimità degli incarichi e sulla congruità dei compensi.

La questione della corretta denominazione e contabilizzazione delle spese non è un mero tecnicismo contabile, ma rappresenta un baluardo della trasparenza e della veridicità del bilancio pubblico. Laddove tali principi vengano violati attraverso occultamenti o manipolazioni, si delinea non solo un danno erariale, ma una condotta che può assumere i connotati del dolo politico. In tali circostanze, gli "scudi erariali", pur volti a tutelare l'azione amministrativa, perdono ogni efficacia e si deve quindi ribadire che l'impegno alla correttezza e alla legalità rimane la sola, vera protezione per chi amministra la cosa pubblica. La sfida per il futuro è conciliare l'efficienza amministrativa con l'inderogabile esigenza di trasparenza e responsabilità.


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